mercoledì 26 ottobre 2016

Tutto coagula

Nella vita si può cadere, si possono avere piccoli incidenti, ma l'importante è riprendersi e fare in modo che quell'incidente non accada più.
Sapevo che andando forte con la moto sarei potuta cadere, ma l'incoscienza mi faceva dire “non è possibile capiti proprio a me” e mi rincuoravo perchè non era mai successo nulla...o forse meglio dire non ancora!
Mi sono ritrovata in ospedale con fratture e punti di sutura in tutto il corpo, per non contare quelli che sono stati dati alla mia anima e al mio cuore. 
Queste sono state le cicatrice più difficili da sanare e ancora oggi sanguinano. I punti sono stati attaccati male e le ferite sanguinano ancora e purtroppo so che è soltanto colpa mia.
Una parte di me è morta in quell'incidente e il peso della morte echeggia tutti i giorni. 
La coscienza è sporca e porto su di me un macigno che mi curva la schiena, un macigno cosi pesante da farmi spuntare la gobba!
È morta la parte migliore di me, quella parte che tirava il carretto della mia vita. 
È morto il rapporto con mia mamma e alla morte si sa, non c'è soluzione. 
Quella salma è chiusa nel feretro, al cimitero e anche se vado a trovarla tutti i santi giorni, non mi sento meglio, anzi sento costantemente il ripudio, il respingermi.
Abbasso gli occhi e non posso che tornare a casa per farla vivere in pace lontana da me.
Ci sono giorni invece in cui mi intestardisco e rimango li ad osservare quel rapporto, dall'interno e dall'esterno. Analizzo le diverse sfaccettature e i diversi caratteri e mi domando come mamma e figlia facciano a tenersi cosi lontane.
Guardo indietro e non vado per niente fiera del passato. Se solo potessi tornare indietro, adesso guarderei ancora la gente negli occhi e non starei qui a piangermi addosso per gli errori commessi.
Tutto coagula e tutto si aggiusta. Ci vuole solo tempo.





venerdì 21 ottobre 2016

Una Milano di sole

UNA MILANO DI SOLE

Non immaginavo che Milano fosse cosi... stupenda!
Da sempre l'ho sentita dipinta di grigio, anzi con una scala di grigi che non le rende giustizia. Nebbia, pioggia e stivali: questo il mio immaginario.
Forse realmente fortunata ho beccato una giornata di sole, caldo e rassicurante.
Venerdi pomeriggio e stranamente non ho lezione. Con la voglia e la malinconia della mia terra esco a fare una passeggiata in centro. Mi soffermo davanti alle vetrine e vedo un abito lungo di seta, rosso, perfetto per la festa in villa organizzata dall'Università. Già mi immagino con quell'abito, il sandalo gioiello, orecchini pendenti argento swarovsky e capelli rigorosamente acconciati, con qualche ondulo che scappa dal raccolto, in modo da far sembrare il tutto meno sobrio.
O mamma...la mia borsa non credo stia bene con quelle scarpe... no problem, c'è Carlotta; lei sicuramente ne avrà una che fa al caso mio.
Un raggio di sole mi accarezza il volto. È caldo e mi infonde serenità e anche felicità. Subito il pensiero va ai miei genitori lasciati giù in Sicilia. Ho voglia di sentire mia mamma per l'ennesima volta della giornata. “Tim segreteria telefonica”... al solito è al telefono con mia nonna o con mia zia Stefania. Sorrido, stacco il telefono e continuo il mio giretto.
Camminando arrivo sotto i portici della Galleria e i tavolinetti sono già pronti per il maxi aperitivo milanese che i lavorati si concedono prima di tornare a casa dalle mogli, dai figli, dalle mamme...
uomini in giacca e cravatta seduti al tavolo insieme ad una bella donna, alta bionda, occhiali da femme fatale, e il dubbio nasce spontaneo: sarà la moglie o l'amante?
La mia non è una mentalità paesana, ma una donna, o chiunque d'altra parte, si accorgerebbe degli sguardi tra quei due. Non è una semplice collega o cugina...deve per forza essere l'amante! 
Si guardano come a dire tra pochi istanti saremo senza vestiti e il profumo dei nostri corpi, della nostra pelle, si fonderà insieme fino a dar vita ad una sola essenza, quella del nostro amore segreto e adultero, ma così eccitante da togliere il fiato.
Decido anch'io di sedere in uno di quei tavoli per fare l'aperitivo.
Le prime volte non mi sono mai seduta a bere qualcosa perchè la maggior parte delle volte, se non con mia sorella o qualche collega, andavo in giro da sola, per schiarirmi le idee, per svagarmi e non pensare alla nostalgia di casa.
Mi sembrava una cosa stupida sedermi e ordinare qualcosa da sola. Era come se il cameriere mi guardasse per dire "Ma questa è pazza!".
Cosi passavo al supermercato, compravo una bottiglia di vino bianco e qualche pacco di patatine e da sola, a casa facevo l'aperitivo davanti alla tv o con la radio ad un volume eccessivamente elevato.
A Chiaramonte l'aperitivo era una moda soprattutto tra il venerdì e la domenica.
Era una gara tra le ragazze a chi indossasse l'abito migliore, a chi tenesse il bicchiere con più disinvoltura, a chi riuscisse a farsi notare maggiormente. Invece per i ragazzi era una gara a chi riuscisse a sopportare, alcolicamente parlando, più Spritz. 
“Io ne ho bevuti due...io cinque e già posso andare a casa!”
Ci si divertiva perchè ogni parola era motivo di un sorriso e se eri riuscita ad andare a casa puntata da qualche bel ragazzo, bhè allora andavi a letto con una sensazione di leggerezza e felicità nello stomaco, e dormivi serenamente, come dorme un neonato al quale è stato fatto il bagnetto la sera.
Non so come e non so dove ma trovai il coraggio, un giorno, di sedermi ad uno di quei tavoli, SOLA!
Stupita di me stessa aveva preparato un piano difensivo in caso di sguardi discriminatori o di qualche frase al posto sbagliato. E invece no: a Milano ognuno si fa i cazzi propri. A nessuno interessa con chi sei, come sei vestita, truccata o acconciata. L'aperitivo è un passaggio, un mezzo, non un fine; è l'attimo prima di tornare a casa, prima di dire questa giornata è finita!
È un attimo per sancire accordi stipulati durante il pomeriggio, sono ore dedicate alla cura della propria mente, un momento per stare seduti, non nei propri uffici, ma per fare qualcosa per noi stessi.
Quel pomeriggio tutti i tavolinetti del porticato erano occupati: sarà per le giornate appena diventate calde, per quel sole che illuminava fino a tardi la strada, sarà perchè era venerdì e si sa, il venerdì siamo tutti contenti, più del sabato.
Scelgo un tavolo vicino al chioschetto in cui era seduta una carinissima coppia di mezza età. Lei capello cortissimo, quasi rasato, biondo ossigeno, lui gilè da pescatore grigio chiaro e l'aspetto da orso dal cuore tenero, come mio papà.
Avevano finito e prima ancora che il tavolo fosse sparecchiato io ero già seduta.
Non so come sia successo, ma in un attimo mi ritrovai a contendermi il tavolo con due ragazze, più piccole di me e soprattutto più presuntuose, e con un ragazzo moro a cui a primo impatto non diedi tanta importanza.
Seduti accanto, lui alla mia sinistra, iniziammo a fare conversazione, isolando le altre due gallinelle fino al punto che decisero di cambiare tavolo.
Mi sorrise e furono minuti di estasi. Era alto e magro, moro, occhi castani, capelli media lunghezza, castani e spettinati. Un maglione marroncino, con la zip centrale aperta a causa del caldo.
Il suo sorriso era abbagliante e rapiva ogni mia parola e pensiero ed era troppo grazioso e tenero perchè gli si aggrinziva la fronte diventando un piccolo scoiattolo tenero.
Si creò subito un feeling particolare. Si chiamava Fulvio ed era proprio uguale a Luca Argentero.
Parlammo del più e del meno fino a quando le luci dei lampioni si accesero per strada. Era tardi, dovevo tornare a casa. Mia sorella Marta avrebbe fatto la notte in ospedale e come di consueto avrei voluto almeno cenare con lei.
Prima di salutarlo cercai qualcosa nella grande borsa MK e mi alzai. Avevo letto nel suo sguardo l'attesa di qualcosa, forse del mio numero e ad alta voce mi giustificai spiegando che cercavo i soldi per le mie Malboro Gold Touch.
Non avrei mai pensato che Fulvio si sarebbe potuto interessare a me. Sono la classica ragazza mediterranea: occhi scuri, capelli scuri, con delle curve che non misurano per niente 90-60-90 ma sono queste elevate al cubo.
Certo è che la gatta morta la sapevo proprio fare! Gli sguardi ammiccanti sono innati e la parlantina di certo non mi manca; avevo persino dato a quella conversazione un taglio provocatorio, inconsapevolmente.
Mi ero innamorata...si perchè io mi innamoro di un niente...già dall'aspetto fisico. Non ho un prototipo di ragazzo ideale ma di certo escludo biondi con occhi chiari. E Fulvio era proprio il ragazzo che non avrei mai escluso.
Non sapevo nulla di lui ma per tutta la serata non ho fatto altro che pensare a quell'aperitivo che aveva superato qualsiasi aperitivo “in” a Chiaramonte.
Lo raccontai a Marta non appena arrivata a casa e lei come al solito mi disse: “Sei sempre la solita regista: hai già fatto un film! Ma se nemmeno lo conosci...non hai nemmeno il suo numero. Non lo rivedrai mai più!”

Ma la mia euforia era cosi cavalcante che le sue parole non mi sfiorarono minimamente e continuai a preparare la cena cantando e fischiettando, con il sorriso sulle labbra.