UNA
MILANO DI SOLE
Non
immaginavo che Milano fosse cosi... stupenda!
Da
sempre l'ho sentita dipinta di grigio, anzi con una scala di grigi
che non le rende giustizia. Nebbia, pioggia e stivali: questo il mio
immaginario.
Forse
realmente fortunata ho beccato una giornata di sole, caldo e
rassicurante.
Venerdi
pomeriggio e stranamente non ho lezione. Con la voglia e la
malinconia della mia terra esco a fare una passeggiata in centro. Mi
soffermo davanti alle vetrine e vedo un abito lungo di seta, rosso,
perfetto per la festa in villa organizzata dall'Università. Già mi
immagino con quell'abito, il sandalo gioiello, orecchini
pendenti argento swarovsky e capelli rigorosamente acconciati, con
qualche ondulo che scappa dal raccolto, in modo da far sembrare il
tutto meno sobrio.
O
mamma...la mia borsa non credo stia bene con quelle scarpe... no
problem, c'è Carlotta; lei sicuramente ne avrà una che fa al caso
mio.
Un
raggio di sole mi accarezza il volto. È caldo e mi infonde serenità
e anche felicità. Subito il pensiero va ai miei genitori lasciati
giù in Sicilia. Ho voglia di sentire mia mamma per l'ennesima volta
della giornata. “Tim segreteria telefonica”... al solito è al
telefono con mia nonna o con mia zia Stefania. Sorrido, stacco il
telefono e continuo il mio giretto.
Camminando
arrivo sotto i portici della Galleria e i tavolinetti sono già
pronti per il maxi aperitivo milanese che i lavorati si concedono
prima di tornare a casa dalle mogli, dai figli, dalle mamme...
uomini
in giacca e cravatta seduti al tavolo insieme ad una bella donna,
alta bionda, occhiali da femme fatale, e il dubbio nasce spontaneo:
sarà la moglie o l'amante?
La
mia non è una mentalità paesana, ma una donna, o chiunque d'altra
parte, si accorgerebbe degli sguardi tra quei due. Non è una
semplice collega o cugina...deve per forza essere l'amante!
Si
guardano come a dire tra pochi istanti saremo senza vestiti e il
profumo dei nostri corpi, della nostra pelle, si fonderà insieme
fino a dar vita ad una sola essenza, quella del nostro amore segreto
e adultero, ma così eccitante da togliere il fiato.
Decido
anch'io di sedere in uno di quei tavoli per fare l'aperitivo.
Le
prime volte non mi sono mai seduta a bere qualcosa perchè la maggior
parte delle volte, se non con mia sorella o qualche collega, andavo
in giro da sola, per schiarirmi le idee, per svagarmi e non pensare
alla nostalgia di casa.
Mi
sembrava una cosa stupida sedermi e ordinare qualcosa da sola. Era
come se il cameriere mi guardasse per dire "Ma questa è pazza!".
Cosi
passavo al supermercato, compravo una bottiglia di vino bianco e
qualche pacco di patatine e da sola, a casa facevo l'aperitivo davanti alla tv o con la radio ad un volume eccessivamente elevato.
A
Chiaramonte l'aperitivo era una moda soprattutto tra il venerdì e la
domenica.
Era una gara tra le
ragazze a chi indossasse l'abito migliore, a chi tenesse il
bicchiere con più disinvoltura, a chi riuscisse a farsi notare
maggiormente. Invece per i ragazzi era una gara a chi riuscisse a
sopportare, alcolicamente parlando, più Spritz.
“Io ne ho bevuti
due...io cinque e già posso andare a casa!”
Ci
si divertiva perchè ogni parola era motivo di un sorriso e se eri
riuscita ad andare a casa puntata da qualche bel ragazzo, bhè allora
andavi a letto con una sensazione di leggerezza e felicità nello
stomaco, e dormivi serenamente, come dorme un neonato al quale è
stato fatto il bagnetto la sera.
Non
so come e non so dove ma trovai il coraggio, un giorno, di sedermi ad
uno di quei tavoli, SOLA!
Stupita
di me stessa aveva preparato un piano difensivo in caso di sguardi
discriminatori o di qualche frase al posto sbagliato. E invece no: a
Milano ognuno si fa i cazzi propri. A nessuno interessa con chi sei,
come sei vestita, truccata o acconciata. L'aperitivo è un passaggio,
un mezzo, non un fine; è l'attimo prima di tornare a casa, prima di
dire questa giornata è finita!
È
un attimo per sancire accordi stipulati durante il pomeriggio, sono
ore dedicate alla cura della propria mente, un momento per stare
seduti, non nei propri uffici, ma per fare qualcosa per noi stessi.
Quel
pomeriggio tutti i tavolinetti del porticato erano occupati: sarà
per le giornate appena diventate calde, per quel sole che illuminava
fino a tardi la strada, sarà perchè era venerdì e si sa, il
venerdì siamo tutti contenti, più del sabato.
Scelgo
un tavolo vicino al chioschetto in cui era seduta una carinissima
coppia di mezza età. Lei capello cortissimo, quasi rasato, biondo
ossigeno, lui gilè da pescatore grigio chiaro e l'aspetto da orso
dal cuore tenero, come mio papà.
Avevano
finito e prima ancora che il tavolo fosse sparecchiato io ero già
seduta.
Non
so come sia successo, ma in un attimo mi ritrovai a contendermi il
tavolo con due ragazze, più piccole di me e soprattutto più
presuntuose, e con un ragazzo moro a cui a primo impatto non diedi
tanta importanza.
Seduti
accanto, lui alla mia sinistra, iniziammo a fare conversazione,
isolando le altre due gallinelle fino al punto che decisero di
cambiare tavolo.
Mi
sorrise e furono minuti di estasi. Era alto e magro, moro, occhi
castani, capelli media lunghezza, castani e spettinati. Un maglione
marroncino, con la zip centrale aperta a causa del caldo.
Il
suo sorriso era abbagliante e rapiva ogni mia parola e pensiero ed
era troppo grazioso e tenero perchè gli si aggrinziva la fronte
diventando un piccolo scoiattolo tenero.
Si
creò subito un feeling particolare. Si chiamava Fulvio ed era
proprio uguale a Luca Argentero.
Parlammo
del più e del meno fino a quando le luci dei lampioni si accesero
per strada. Era tardi, dovevo tornare a casa. Mia sorella Marta
avrebbe fatto la notte in ospedale e come di consueto avrei voluto
almeno cenare con lei.
Prima
di salutarlo cercai qualcosa nella grande borsa MK e mi alzai. Avevo
letto nel suo sguardo l'attesa di qualcosa, forse del mio numero e ad
alta voce mi giustificai spiegando che cercavo i soldi per le mie
Malboro Gold Touch.
Non
avrei mai pensato che Fulvio si sarebbe potuto interessare a me. Sono
la classica ragazza mediterranea: occhi scuri, capelli scuri, con
delle curve che non misurano per niente 90-60-90 ma sono queste
elevate al cubo.
Certo
è che la gatta morta la sapevo proprio fare! Gli sguardi ammiccanti
sono innati e la parlantina di certo non mi manca; avevo persino dato
a quella conversazione un taglio provocatorio, inconsapevolmente.
Mi
ero innamorata...si perchè io mi innamoro di un niente...già
dall'aspetto fisico. Non ho un prototipo di ragazzo ideale ma di
certo escludo biondi con occhi chiari. E Fulvio era proprio il
ragazzo che non avrei mai escluso.
Non
sapevo nulla di lui ma per tutta la serata non ho fatto altro che
pensare a quell'aperitivo che aveva superato qualsiasi aperitivo “in”
a Chiaramonte.
Lo
raccontai a Marta non appena arrivata a casa e lei come al solito mi
disse: “Sei sempre la solita regista: hai già fatto un film! Ma se
nemmeno lo conosci...non hai nemmeno il suo numero. Non lo rivedrai
mai più!”
Ma
la mia euforia era cosi cavalcante che le sue parole non mi
sfiorarono minimamente e continuai a preparare la cena cantando e
fischiettando, con il sorriso sulle labbra.