venerdì 6 ottobre 2017

Benvenuti a palazzo Cruccio!

Ci sono delle date che ti segnano a vita. Giorni che sul calendario hanno le stesse caratteristiche di altri, ma che sul calendario del cuore sono scritti con l'inchiostro nero, nero come la pece, nero come la morte!
Il laccio attorno al mio cuore da mesi si è fatto ancora più stretto in questa notte gelida dove le temperature sono scese sotto lo zero come a volermi ricordare la bufera di neve che attraverso da tempo.
Le lacrime sono cadute giù a cascate fino alle prime luci dell'alba,  bagnando quel cuscino sul quale poggiavo la mia testa confusa, triste e impaurita.
Inizialmente non avevo fatto caso alla data, ma il mio calendario biologico non ha dimenticato l'anniversario e la mia anima, il mio cuore, la mia testa hanno ben pensato di dare una festa in nome di un amore finito.
Era una festa sfarzosa e anche lussuosa nonostante i colori scuri e cupi; la tristezza faceva da padrona, ma il vero protagonista era il dolore: bello, elegante, in tutto il suo splendore.
Ogni qual volta attraversava il salone del cuore, il dolore danzava, credo sulle note della Sinfonia di Dvorak Nuovo mondo, l'allegro con fuoco, ed io restavo a guardare incantata, lasciandolo prendere il sopravvento.
Dopo il primo ballo di apertura, ho fatto un giro per gli altri saloni del palazzo e il momento più inquietante è stato attraversare il corridoio dei ricordi.
In ogni parete un quadro appeso rappresentante una scena di un tempo felice, un tempo passato che mi è realmente appartenuto.
Con occhiate profonde e pungenti guardavo quei dipinti ed era come se una spada mi trafiggesse senza pietà.
Ho iniziato a correre verso il salone del cuore nella speranza di trovare un qualche appiglio di serenità, ma niente. il buio era calato in quel corridoio ad un tratto vuoto e spoglio.
Da quel momento ricordo solo lacrime, fiumi di lacrime e domande senza una risposta.

mercoledì 22 marzo 2017

Si nasce con un dono tra le dita

Ciascuno di noi è nato con in mano un dono: quello della retorica, della musica, dello scrivere, della pazienza.
Quella bambina era appena nata e aveva le mani davvero piccole, ma teneva già stretti milioni di doni, tutti diversi tra loro, ma che avrebbero fatto di lei una bimba fuori dal comune, diversa dagli altri in tutta la sua particolarità.
Quando si viene al mondo non si sa ancora quello che la vita ha progettato per noi, con cura e accuratezza e sconosciamo anche la potenza e anche la potenzialità di quei doni tra le dita. Solo dopo ci accorgeremo di quello che siamo e del perché siamo nati.
Il dono che mi affascina di più è certamente la bellezza dell’anima e non parlo di un’anima che sia felice o buona perché di buono a parte le lasagne di mamma non credo di conoscere nient’altro. Sto parlando di un’essenza ricca di sapere e soprattutto di saper fare, una spinta che dall’interno spinge verso l’agire, verso un moto il cui input è incontrollabile.
E ancora, parlo di un’anima pura, e ripeto non priva di peccati o pensieri cattivi, ma di una che con caparbia, decisione e anche speranza ha raccolto i frutti di un di un duro e interminabile lavoro di semina; ha assorbito, come una spugna, goccia dopo goccia, l’arte e ne ha fatto la sua passione e la sua voglia di vivere e di sapere.
E più passa il tempo più questa spugna sente la necessità di assorbire sempre più acqua, sempre più cultura. La spugna non sa che quell’acqua darà da bere agli assetati in un periodo di deserto sahariano, quando l’acqua in se sembrerà un miraggio causato dalla stanchezza, dalla sete, dalla voglia di tornare a casa e abbandonare quell’arduo cammino sabbioso.
Ci sono infatti periodi in cui mente e cuore sono aridi e solo la cultura potrà salvarli dalla disidratazione. Solo in quei momenti sarai in grado di tirare fuori la spugna che per tanto tempo ha assorbito, e ti disseterai sorprendendoti perché incredulo hai accumulato una tua riserva senza volerlo.
E parlerai….parlerai cosi tanto da mancarti il fiato, vomitando tutta quell’acqua che hai ingerito da farti venire “le rane allo stomaco” come direbbe mia mamma!
Sarai tu li, al centro dell’attenzione di una folla che ascolta ciò che hai da dire e il modo in cui lo dici, intratterrai e non sarai per niente noioso, ma soprattutto quell’applauso finale sarà cosi assordante da farti sorridere. E quei denti bianchi, incorniciati da labbra rossissime, saranno lo specchio dei tuoi occhi scintillanti e sussurreranno un grazie rivolto non alla platea, ma a te stessa e ai tuoi genitori che in fondo hanno sempre creduto silenziosamente in te.
Ma questo è solo il sogno di una studentessa soddisfatta dei suoi interventi universitari e pura idealista, convinta che un giorno realizzerà questo sogno e non solo!

venerdì 10 marzo 2017

Benvenuti nella giungla!

Arriva un momento nella vita in cui senza preavviso ci si ferma ad osservare le situazioni che ci circondano, e non si sa perché ma questo avviene sempre all’indomani dell’anniversario della nostra nascita. Quella candelina in più da spegnere sulla torta, riflettendoci, è un fattore cosi destabilizzante da mettere in moto pensieri esistenziali e ragionamenti che oscillano tra il filosofico, il metafisico e il reale. Iniziamo perciò ad analizzare la vita, in modo più o meno analitico, attraverso il metodo induttivo, cominciando dalla realtà più vicino ai nostri occhi per finire parlando di vita e di concetti più astratti. La prima cosa perciò di cui parla una studentessa è la propria istituzione scolastica, nel caso di specie, come direbbe un giurista, l’Università. L’università è un campo minato, una via talmente in salita che alle volte per la fatica si pensa di mollare tutto e di riprendere in mano la propria vita, troppo spesso oscurata dallo studio, dalle lezioni, dai ritmi intensi richiesti. Ma allo stesso tempo, quella che tu consideri la tua “condanna”, o forse il metodo peggiore per decidere di sopperire, liberamente scelto, risulta essere la tua gioia perché una volta indossata la corona di alloro, ogni singola fatica, attimo di stress e ogni ostacolo, cade nel dimenticatoio e come uno scalatore arrivato in cima ci si gode la meravigliosa vista. Stiamo parlando di un’università che per tutto il percorso sembra qualcosa di intangibile, qualcosa che non porterà a nulla se non ad una serie accentuata di interrogativi a cui non dare risposta. La stessa università che ad un passo dalla laurea ti propone test di orientamento alla carriera, proponendo profili individuali e personalizzati in cui emerge una attitudine manageriale caratterizzante aziende di grande spessore quali Google, Amazon, Lamborghini, Apple, tanto per fare qualche esempio. E una povera studentessa bramante di successo, fama, e prestigio finisce per illudersi nella speranza che tutti i suoi sacrifici possano riportare ad una meritocrazia, non tanto culturale e professionale quanto salariale!! Ma sappiamo benissimo che aziende come quelle citate, il cui solo nome pronunciato fa tremare la terra, non assumeranno mai neo-dottori alle prime armi e privi di esperienza. una volta concluso il capitolo “scolastico” l’attenzione è rivolta all’ambito familiare in cui ancora prima di parlare della madre o del padre, si fa riferimento alla sorella minore, considerata per l’appunto “piccola”, indifesa, incapace di affrontare il mondo esterno al guscio familiare, quindi sia universitario che lavorativo. Ma riflettendo in modo veritiero ti accorgi che quella “bimba” idealizzata nei tuoi pensieri non esiste più. È una donnina che ha deciso di lasciare il suo habitat in cerca di opportunità per la vita, decidendo di sopportare in silenzio la lontananza, le festività mancate, la perdita di sonno per i turni di notte, la sveglia fissa ogni mattina alle 04:00. E confrontando la tua situazione con la sua capisci che in fondo la vera piccola sei tu perché raggiungi la consapevolezza che nella vita hai solo fatto l’essenziale, l’indispensabile con cui hai costruito nel tempo un finto orgoglio. Capisci di essere grande quando ti accorgi che è cambiato il rapporto con i genitori, quando ormai semplici domande come “come stai, che fai, cosa pensi” risultano obsolete, superate, anche superflue, ma non per te. Quando per ogni cosa da fare per cui chiedi, anche indirettamente, un consiglio ti si dice “fai tu”, come a voler significare ormai devi essere e sei solo TU. Essere grandi ha i suoi pro e i suoi contro e solo con il passare del tempo si riesce a cogliere ogni singola sfumatura di entrambi, e se da un lato si soffre per la perdita dell’ala familiare, dall’altro si inizia ad apprezzare ed amare il senso di libertà, una libertà che tutti bramano, ciascuno a proprio modo: c’è chi parla di matrimonio, chi di convivenza, chi di partenze senza un ritorno. Tutti e dico tutti però cercano di seguire questa libertà forse perché ad un tratto della vita ci si rende conto che i canoni fino a quel momento seguiti, perché imposti o perché da tradizione, non rispecchiano più la vera essenza di quello che è diventato il tuo pensiero. Magari quegli stessi ideali cosi sacri anche a te si sono trasformati in demoni interiori cosi potenti da non farti dormire la notte. Ma questa è un’altra storia! Essere grandi significa sfidare la paura soprattutto quella di essere criticati per ogni singolo gesto e pensiero, per ogni singola azione e parola. Significa sfidare gli altri costantemente e controllare con meticolosità ogni segno di punteggiatura e accezione delle parole per evitare di essere fraintesi ed offendere gli altri anche senza volerlo, anzi senza nemmeno averlo pensato minimamente. Essere grandi significa destreggiarsi tra gli innumerevoli diverbi che si creano con le persone, discussioni più o meno significative; difendersi dalla cattiveria insita in ogni singolo uomo, essere pronti ad attaccare per attutire meglio i colpi, essere pronti ad affrontare quotidianamente milioni di cause civili e penali (metaforicamente parlando), destreggiandosi come un abile avvocato in aula, facendo valere la propria ragione, argomentando la propria tesi e confutando quella dell’altra parte. Essere grandi perciò significa ricevere il benvenuto in una giungla di belve feroci, luogo di odio e amore dove in ogni stante si è chiamati a scegliere, correttamente e a volte anche opportunisticamente, in modo tale da non diventare facile preda di una di quelle belve, e perché no, provare a guadagnarsi anche un ruolo tra di esse, diventandone parte integrante. E se per certi aspetti tutto questo può sembrare orribile, comunque ottenere il pass per la giungla significa aver raggiunto un certo grado di autorità e di carattere che ti permetta di essere considerato abbastanza forte da saper lottare e abbastanza corazzato da poter sopravvivere!

mercoledì 18 gennaio 2017

Il mio dialogo con il vento

Avvolta da un mantello di nubi, seduta su questo scoglio, vedo ciò che è rimasto mi si stringe il cuore.
Osservo quello che è rimasto dopo il passaggio dello tsunami ed è terrificante comprendere come tutto possa cambiare nell'arco di poco tempo.
Quel porticato a ridosso del mare era tutto per me e adesso non c'è più!
Il legno putrido, spaccato, continua a sgretolarsi portando con se quelle minime parti rimaste miracolosamente intatte.
Chiudo gli occhi ed è come se lo vedessi ancora li, in tutto il suo splendore.
Era una piattaforma di legno scuro, poggiata sulla duna di sabbia.
Un legno pregiato scelto con cura e pagato a peso d'oro perché volevo che fosse tutto impeccabile. Al centro di questa piattaforma un gigantesco letto matrimoniale, con un materasso bianco di pelle per distendermi in quelle giornate calde, ed essere baciata dal sole e della brezza del mare sospinta dal vento. Era il mio rifugio anche in quei pomeriggi in cui il tempo ombroso e cangiante infondeva in me tristezza e malinconia e lo stesso vento trasportava paure, nuove ma soprattutto vecchie.
Un porticato che fungeva da tetto, da focolare, forse anche da mamma per ripararsi e sentirsi al sicuro!
Ai lati delle tende anch'esse bianche sospinte in alto dalle raffiche di vento, a volte tenue, a volte violante. Erano una forza della natura perché si piegavano ma non si spezzavano. Mai uno strappo, mai una ferita apparente.
Rimanevo ore e ore a oziare su quel materasso, godendo del panorama mozzafiato che si prospettava davanti ai miei occhi.
Mi piaceva trascorrere li i miei pomeriggi perché finii per parlare con quel vento e alle volte avevo anche la sensazione che mi rispondesse. Mi capiva, mi lasciava spazio per intavolare discorsi a volte banali, a volte profondi come quelli sul senso della vita, la mia in particolare.
Lui soffiava e io rimanevo li ad ascoltarlo perché tutto ciò che percepivo sapeva di saggio, di intelligente e interessante.
Il vento era la mia famiglia e sapeva strattonare la mia anima, il mio cuore e anche la mia mente.
E non esitava a rimproverarmi anche con tono abbastanza deciso e duro come quello di un padre, quando mi perdevo in insulti pensieri fallimentari o in qualche ragionamento poco maturo per la mia età e la mia intelligenza.
Un giorno però ha smesso di venirmi incontro. Ero li ad aspettarlo con la felicità nel cuore e la voglia di trascorrere il pomeriggio con lui, raccontando la mia serenità e la mia vita che ad un tratto sembrava andare per il verso giusto.
Ma lui non c'era….soffiava ma non nella mia direzione. Non era li ad attendermi, anzi mi trattava come se non fossi proprio presente.
Dialogava con il mare e mi lasciava indifferente.
Senza nemmeno sospirare capii di essere di troppo e, voltandomi più volte, girai i tacchi e tornai da dove ero venuta.
Passarono i giorni e stentavo a tornare al mio porticato. La delusione era stata talmente tanta che preferivo rimanere nella mia solitudine, versando lacrime interiori per non essere vista da alcuno e godendomi quegli attimi di felicità che si prospettavano dopo tanto tempo.
Passerà mi ripetevo…. Tornerà a soffiare per me e a scompigliarmi i capelli come la carezza di un umano.
E intanto in ogni gesto le sue raffiche erano sempre presenti e destabilizzavano le miei giornate, i miei pensieri, i miei sentimenti.
Si era offeso perché avevo fatto una scelta diversa da quella che lui si sarebbe aspettato da me. Era indifferente perché deluso e io mi comportavo come uno specchio, ricambiando la stessa indifferenza, e apparendo poco interessata.
Mi mancava… era un vuoto inesorabile, ma la parte più egoista di me diceva “non ti curar e passa”. Pensa a te stessa, al tuo momento sereno, ma non ce la facevo. Fingevo di dar retta all'egoismo, apparivo io stessa egoista, ma non era cosi.
Oggi, all'indomani dello tsunami mi sento io la vera catastrofe naturale.
Vorrei tornare indietro, molto indietro nel tempo, fino all'attimo prima di ideare la mia palafitta e bloccarmi esattamente li.

Vorrei non aver mai dato vita a questo progetto, vorrei tornare indietro, ma indietro non si torna e avanti… be senza la spinta del vento io non so andare avanti!