Arriva un momento nella
vita in cui senza preavviso ci si ferma ad osservare le situazioni che ci
circondano, e non si sa perché ma questo avviene sempre all’indomani dell’anniversario
della nostra nascita.
Quella candelina in più da spegnere sulla torta, riflettendoci, è un fattore
cosi destabilizzante da mettere in moto pensieri esistenziali e ragionamenti
che oscillano tra il filosofico, il metafisico e il reale.
Iniziamo perciò ad analizzare la vita, in modo più o meno analitico, attraverso
il metodo induttivo, cominciando dalla realtà più vicino ai nostri occhi per
finire parlando di vita e di concetti più astratti.
La prima cosa perciò di cui parla una studentessa è la propria istituzione
scolastica, nel caso di specie, come direbbe un giurista, l’Università.
L’università è un campo minato, una via talmente in salita che alle volte per
la fatica si pensa di mollare tutto e di riprendere in mano la propria vita,
troppo spesso oscurata dallo studio, dalle lezioni, dai ritmi intensi
richiesti.
Ma allo stesso tempo, quella che tu consideri la tua “condanna”, o forse il
metodo peggiore per decidere di sopperire, liberamente scelto, risulta essere
la tua gioia perché una volta indossata la corona di alloro, ogni singola
fatica, attimo di stress e ogni ostacolo, cade nel dimenticatoio e come uno
scalatore arrivato in cima ci si gode la meravigliosa vista.
Stiamo parlando di un’università che per tutto il percorso sembra qualcosa di
intangibile, qualcosa che non porterà a nulla se non ad una serie accentuata di
interrogativi a cui non dare risposta. La stessa università che ad un passo
dalla laurea ti propone test di orientamento alla carriera, proponendo profili
individuali e personalizzati in cui emerge una attitudine manageriale
caratterizzante aziende di grande spessore quali Google, Amazon, Lamborghini,
Apple, tanto per fare qualche esempio.
E una povera studentessa bramante di successo, fama, e prestigio finisce per
illudersi nella speranza che tutti i suoi sacrifici possano riportare ad una
meritocrazia, non tanto culturale e professionale quanto salariale!! Ma sappiamo
benissimo che aziende come quelle citate, il cui solo nome pronunciato fa
tremare la terra, non assumeranno mai neo-dottori alle prime armi e privi di
esperienza.
una volta concluso il capitolo “scolastico” l’attenzione è rivolta all’ambito
familiare in cui ancora prima di parlare della madre o del padre, si fa riferimento
alla sorella minore, considerata per l’appunto “piccola”, indifesa, incapace di
affrontare il mondo esterno al guscio familiare, quindi sia universitario che
lavorativo.
Ma riflettendo in modo veritiero ti accorgi che quella “bimba” idealizzata nei
tuoi pensieri non esiste più. È una donnina che ha deciso di lasciare il suo
habitat in cerca di opportunità per la vita, decidendo di sopportare in
silenzio la lontananza, le festività mancate, la perdita di sonno per i turni
di notte, la sveglia fissa ogni mattina alle 04:00.
E confrontando la tua situazione con la sua capisci che in fondo la vera
piccola sei tu perché raggiungi la consapevolezza che nella vita hai solo fatto
l’essenziale, l’indispensabile con cui hai costruito nel tempo un finto
orgoglio.
Capisci di essere grande quando ti accorgi che è cambiato il rapporto con i genitori,
quando ormai semplici domande come “come stai, che fai, cosa pensi” risultano
obsolete, superate, anche superflue, ma non per te.
Quando per ogni cosa da fare per cui chiedi, anche indirettamente, un consiglio
ti si dice “fai tu”, come a voler significare ormai devi essere e sei solo TU.
Essere grandi ha i suoi pro e i suoi contro e solo con il passare del tempo si
riesce a cogliere ogni singola sfumatura di entrambi, e se da un lato si soffre
per la perdita dell’ala familiare, dall’altro si inizia ad apprezzare ed amare
il senso di libertà, una libertà che tutti bramano, ciascuno a proprio modo: c’è
chi parla di matrimonio, chi di convivenza, chi di partenze senza un ritorno.
Tutti e dico tutti però cercano di seguire questa libertà forse perché ad un
tratto della vita ci si rende conto che i canoni fino a quel momento seguiti, perché
imposti o perché da tradizione, non rispecchiano più la vera essenza di quello
che è diventato il tuo pensiero.
Magari quegli stessi ideali cosi sacri anche a te si sono trasformati in demoni
interiori cosi potenti da non farti dormire la notte. Ma questa è un’altra
storia!
Essere grandi significa sfidare la paura soprattutto quella di essere criticati
per ogni singolo gesto e pensiero, per ogni singola azione e parola.
Significa sfidare gli altri costantemente e controllare con meticolosità ogni
segno di punteggiatura e accezione delle parole per evitare di essere fraintesi
ed offendere gli altri anche senza volerlo, anzi senza nemmeno averlo pensato
minimamente.
Essere grandi significa destreggiarsi tra gli innumerevoli diverbi che si
creano con le persone, discussioni più o meno significative; difendersi dalla
cattiveria insita in ogni singolo uomo, essere pronti ad attaccare per attutire
meglio i colpi, essere pronti ad affrontare quotidianamente milioni di cause
civili e penali (metaforicamente parlando), destreggiandosi come un abile
avvocato in aula, facendo valere la propria ragione, argomentando la propria
tesi e confutando quella dell’altra parte.
Essere grandi perciò significa ricevere il benvenuto in una giungla di belve
feroci, luogo di odio e amore dove in ogni stante si è chiamati a scegliere,
correttamente e a volte anche opportunisticamente, in modo tale da non
diventare facile preda di una di quelle belve, e perché no, provare a guadagnarsi
anche un ruolo tra di esse, diventandone parte integrante.
E se per certi aspetti tutto questo può sembrare orribile, comunque ottenere il
pass per la giungla significa aver raggiunto un certo grado di autorità e di
carattere che ti permetta di essere considerato abbastanza forte da saper
lottare e abbastanza corazzato da poter sopravvivere!
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