domenica 29 luglio 2018

MAYDAY MAYDAY… LO SCHIANTO CON L’EVEREST E’ VICINO


La situazione sta precipitando…. Sto perdendo quota come un aereo con un guasto al motore. Il mio guasto si trova infatti al centro della gabbia toracica e porta con se un rumore fastidioso alla testa, nella scatola cranica…come se la scatola nera di quell’aereo parlasse.
Io sono il pilota di quell’aereo messo male. Fortunatamente non ho passeggeri a bordo, o forse indirettamente ne ho molti tra parenti e amici. Sono da sola e mi sto andando a schiantare contro l’Everest. Da un lato ci sono attimi in cui provo l’ebrezza della morta, l’adrenalina di dire vado via da questo mondo infame che altro non porta che dolore…io muoio… adesso soffrite voi!
Dall’altro guardo quel muro che si avvicina sempre più al muso del mio aereo e ho paura, perché non sono pronta a morire, non so com’è.
Questo volo sta durando una eternità. E ogni attimo è buono per vedere passare la mia vita davanti. Vorrei solamente che qualcuno della cabina di controllo fosse qui al mio posto, qualcuno mi esperto di me o con due palle più grandi delle mie. Qualunque scelta porterà alla morte, qualunque scelta sarà errata, qualunque mia decisione sarà rimessa al giudizio di una squadra di esperti che apriranno un fascicolo sulla mia vita, sulla mia professionalità, su di me… alle volte dico “Chi se ne frega! Tanto io sarò morto!”, però allo stesso tempo si alimenta in me quella speranza di sopravvivere in un modo o nell’altro e la preoccupazione di quel fascicolo è talmente tanta che la speranza termina improvvisamente.
Che esempio posso essere io per i piloti ancora in erba? Cosi fragile, così indecisa, così poco esperta nonostante 26 anni di pilotaggio. Nessuno! O forse… l’esempio da non seguire… quello sbagliato sulla base del quale è necessario prendere le distanze e adottare piani differenti, per non commettere gli stessi errori. In fin dai conti, sotto questo punto di vista potrei essere ugualmente un esempio!
E nei confronti dei miei superiori, che hanno cercato di darmi lezioni di volo senza mai tralasciare un minimo dettaglio, alzandosi presto la mattina per studiare un addestramento degno di rispetto, che hanno sacrificato molte delle proprie ore libere per insegnare proprio a me alcune tecniche fondamentali di sopravvivenza, che figura sto facendo? Li sto deludendo certamente… li sto facendo pentire di aver messo in campo un pilota fallito come me, un pilota privo di palle che non riesce a decidere tra la vita e la morte… eppure…. Quella morte è cosi affasciante da togliere il fiato. Mi è capitato di parlare con la morte… e tra le sue parole stavo bene. Mi parla di un mondo privo di sofferenza, tra le braccia di qualcuno di più grande del terreno; di un mondo in cui qualunque decisione non tangerà a nessuno perché tanto non potrai più far del male a nessuno. Mi parla di un cambiamento che affascina, anche se non ne conosco i motivi fino in fondo perché se rifletto qualche secondo con lucidità la morte ha seminato del male. Ha fatto versare lacrime, diffuso disperazione e solitudine; ha aperto ferite che non si rimargineranno facilmente.
Eppure… mi piace!
Morire vuol dire fare le valigie ed essere rifiutata dalla società che non accetta il tuo schianto, forse l’ennesimo, perché non è la prima situazione analoga! Vuol dire essere considerata una suicida del corpo e dell’anima; un pilota privo di dignità che non merita rispetto per l’aver scelto di morire, pur capendo che lo schianto era vicino.  Un pilota che non merita di riceve asilo nella mente di nessuno, nel cuore di nessuno, perché in fondo il parere della repulsione è univoco e comune.
I minuti passano scanditi dal ticchettio dell’orologio che porto al polso…. Tic tac…. Tic tac…. Sta scadendo il tuo tempo… Tic tac…. Devi prendere una decisione. L’Everest è proprio di fronte a te… devi scegliere tra morire e vivere, devi scegliere tra il bene e il male.
Ho una idea: mi butto dall’aereo… abbandono l’aereo e mi tuffo nel vuoto…. O volere o volare morirò comunque!


martedì 22 maggio 2018

"Senza il dono non c'è l'altro, senza l'altro non c'è identità"



Sto leggendo un libro e pagina dopo pagina il mio respiro cambia velocemente il suo ritmo passando da regolare, a tratti lento, a molto oscillante, eccessivamente rapido.
Ogni frase avvolge la mia mente e incanta la mia anima e con la matita sempre a portata di mano sottolineo prima una riga, poi un’altra e un’altra ancora e ad ogni tratto mi soffermo con gli occhi rivolti nel vuoto e penso che quelle parole siano la realtà, la mia realtà.
Non è un romanzo ne un libro di qualsivoglia genere; è un libro di vita nato con scopi didattici che a mio parere dovrebbe essere sottoposto alla lettura di ciascuno di noi perché incarna l’essere, anzi l’essenza di ogni uomo.
I temi affrontati sono i più svariati, gli stessi che nell’arco di vita ciascuno di noi è chiamato a svolgere in maniera più o meno consapevole, o comunque con più o meno difficoltà.
L’amore, l’eterna ricerca della felicità, la schiavitù dalla tecnologia: tutto trattato con un taglio concreto, reale, tangibile come se potessimo toccarlo allungando un solo dito. Un continuo sussurrare frasi come “è esattamente cosi”… “è esattamente ciò che sta succedendo a me o ad una amica o una conoscente”.
Un libro moderno, contemporaneo ma anche ricco di una componente del passato, con un velo prettamente nostalgico di riferimenti ai valori tradizioni, quelli che molti considerano passati o obsoleti, come la famiglia, i valori, la tradizione in sé e per sé.
I miei occhi brillano ad ogni singola riga e il cuore sobbalza ad ogni verità recondita che la luce della quotidianità cela abilmente.
L’identità per esempio… cos’è l’identità? È tutto ma può anche non significare niente.
Abbiamo riflettuto mai sul fatto che ciascuno di noi oggi ha difficoltà a dipingere una propria identità?  “Le identità sono vestiti da indossare e mostrare, non da mettere da parte e tenere al sicuro” si legge. Scatta in me di conseguenza la fatidica domanda personale che analizza me e me nel contesto in cui vivo. Chi sono io? Sono sempre la stessa donna in ogni circostanza o la mia identità varia ad ogni rintocco del cambiamento o dell’avvenimento?!
Chi siamo noi, giovani impauriti da un futuro “che non è più una promessa ma una minaccia, che ha creato un’impossibilità di progettare e dare un senso di continuità a ciò che invece dovrebbe avercelo, come la nostra identità”.
Una società bloccata dalla paura che genera ansia e dalla quale a sua volta scaturiscono sentimenti paranoici e in questa nuvola di angoscia, fobia e paura di un pericolo imminente “diventiamo sospettosi di amici ed inevitabilmente di nemici”, viviamo un legame in maniera patologica, perseguitati e non amati dall’altro.
E ancora una società di giovani privi di speranza, dominata da un individualismo becero e serrato, dal “comunitarismo tribale” e come indigeni avidi di potere cerchiamo di accentuare il nostro Io, di creare un mondo fatto di soli IO, anche incorrendo nella solitudine dal momento che nessuno esiste per l’altro.
Diciamo continuamente di non avere tempo; tempo per andare a trovare i nostri genitori, tempo per andare a trovare gli anziani nonni, tempo da dedicare alla cura delle persone, eppure trascorriamo tantissimo tempo a chattare su siti online o sui social network. Ci alziamo la mattina con il pensiero di scorrere le bacheche virtuali assetati dalla voglia di sapere cosa sia successo nelle ore notturne, e ignari dello scorrere del tempo facciamo tardi al lavoro, a scuola, ad una riunione, perdiamo il treno o magari corriamo come forsennati con l’auto per riuscire a prendere quell’unica coincidenza che ci farebbe arrivare in orario al nostro appuntamento. E non riusciamo neppure ad addormentarci senza dare un’ultima occhiata ai social, possibilmente augurando la buonanotte a qualche amica/o virtuale o lasciando qualche apprezzamento che faccia breccia nei sogni del destinatario. E possibilmente qualche istante prima ci eravamo allontanati frettolosamente dagli amici o dalla famiglia,  dir poco scappando, con la furia di addormentarsi in orario per godere delle necessarie ore di sonno.
La parola d’ordine della nostra vita è diventata connessione; internet è il luogo dove ormai trascorriamo la nostra vita senza più distinguere il virtuale dal reale; in tal senso ci disorientiamo e non riusciamo a gerarchizzare, ad attribuire la giusta priorità alle differenti finestre di opportunità che si aprono davanti ai nostri occhi.
E l’amore allora? Non ha alcuna speranza?
Si, il suo destino è a dir poco segnato. L’uomo è ormai privo di sentimenti che ha facilmente sostituito con la ricerca spasmodica del piacere infinito fatto di corpi statuari debitamente scolpiti dalla chirurgia estetica, di sesso privo di regole e certamente di sentimento.
“Solo quando l’amore sarà considerato come un dono , l’uomo potrà dare un senso alla propria esistenza”, cosi cita il libro. Il dono ha come fine l'uomo, non si serve dell'uomo. Il dono scardina l'Io dando un senso all'altro... Nel dono si comincia a sentire il respiro dell'altro e tutto diventa ciò che normalmente non è. Senza il dono non c'è l'altro, senza l'altro non c'è identità ".

giovedì 26 aprile 2018

Noi ...D'Annunzi di oggi!


Nel 18…e qualcosa, in Inghilterra, la regina Victoria ha conosciuto il vero amore, quello che viene narrato ad ogni bambina leggendole una favola.
Una giovane donna, regina al trono, forte e decisa alla guida di una nazione che incontra per caso un giovane altrettanto bello e forte, nonché erede al trono di un’altra nazione, di cui se ne innamora già al primo sguardo per i modi di fare, per l’imbarazzo che si crea, per i discorsi dolci e senza uno specifico doppio senso.
Altrettanto forte come moglie e madre, emblema di donne come poche, ispiratrice di una intera generazione di Milady che purtroppo non ha avuto le stesse fans all’epoca di Facebook e Instagram.
Dopo di lei, Elisabetta, stessa tenacia, uguale carattere, uguale forza. Credo fermamente che l’Inghilterra debba il suo splendore proprio alle due regnanti più longeve delle storia, alla loro potenza e fermezza, alla loro grandezza.
Entrambe hanno conosciuto il vero amore, quello che toglie il fiato ad ogni respiro, quello che uccide piacevolmente ad ogni sguardo, quello che lacera con petali di rose il cuore ad ogni singola parola; l’amore che riempie il cuore, gli occhi, le labbra. L’amore come comprensione, sopportazione silenziosa, stima, elogio, felicità, fedeltà, ma soprattutto complicità e affetto.
Un amore dunque che oggi è solo lontanamente pensabile in qualsiasi coppia che si definisca tale.
Siamo tornati in un’epoca in cui è l’edonismo a far da padrone: siamo tutti un po’ dei “D’Annunzi” che pensano a soddisfare e placare il proprio piacere, qualunque esso sia; ciascuno impegnato nella propria battaglia della popolarità, quella dell’IO sopra ogni cosa, quella dell’IO migliore di qualunque cosa.
Siamo talmente occupati ad amare noi stessi, ciascuno a proprio modo, che ci dimentichiamo della persona che abbiamo al nostro fianco, la stessa persona che abbiamo “scelto” per la naturale indole del o al completamento.
È infatti la natura a spingerci verso il sesso opposto come se fossimo dotati di cariche opposte che per la fisica inevitabilmente si attraggono. Ci uniamo per inerzia, per abitudine forse, o semplicemente per seguire la natura, l’indole, l’istinto.
Una volta il comportamento dell’uomo era giustificato dall’appellativo primitivo, privo di qualunque tipo di razionalità. Studi scientifici hanno poi dimostrato che l’uomo è in realtà dotato di quella razionalità, di una intelligenza in grado di discernere il bene dal male, il giusto dallo sbagliato, il vero dal falso.
In realtà credo che questa intelligenza sia solamente il frutto del caso: i ricercatori probabilmente si saranno trovati al posto giusto nel momento giusto, esattamente nell’istante in cui il caso ha voluto che l’uomo si comportasse in un determinato modo; in caso contrario non si spiegherebbe il perché gli uomini commettano degli errori. Dove era in quell’esatto momento l’intelligenza?
È pertanto corretto pensare che l’intelligenza funzioni solamente due volte su  mentre per tutte le altre volte il meccanismo si inceppi vergognosamente?
L’istinto è allora quello di pensare a noi stessi, pur sempre con una persona al nostro fianco: si spiegherebbe cosi il perché ai buffet si vada in compagnia ma ciascuno pensi a riempire il proprio di piatto o il perché si pensi prima a sfamare noi stessi e, solo in un secondo momento, FORSE, il proprio partner.
Ciò che mi risulta estremamente alieno è invece il rapporto madre- figlio in cui, nella maggior parte dei casi, l’egoismo è al quanto assente o inverso.
La madre pensa prima ai fabbisogni dei figli, e solo dopo al proprio.
L’egoismo è in senso inverso: dal figlio verso la madre e lo si dimostra inconsciamente dai primi mesi di gestazione: si mangia togliendo alla madre, si provoca alla madre per la sola “voglia” di uscire fuori, si sottrae tempo al sonno della madre per la nostra “ingordigia” di voler mangiare ogni tre ore scarse.
Forse allora l’egoismo è insito nella natura dell’uomo; ciascuno di noi nasce, cresce e muore egoista.
E si riversa tutto inesorabilmente nell’amore: sarebbe bello che qualcuno si prendesse cura di noi hanno fatto a suo tempo le nostre mamme, ma il discorso ruota sempre intorno allo stesso punto: nella coppia entrambi pretendono egoisticamente l’amore delle rispettive madri…
È un cerchio che non ci chiuderà mai o rare volte!


lunedì 8 gennaio 2018

Stanotte ho sognato mare grosso

Era una bella giornata di sole, ma molto ventosa. Siamo scesi in spiaggia e le onde spazzavano via i nostri teli distesi sulla sabbia. Il nostro arrivo in albergo era stato molto inquieto. Prima i bagagli persi in uno dei tanti ascensori, poi lo smarrimento tra i tanti corridoi per ritrovare la nostra camera. Infine noi seduti sulla moquette di quel labirinto sfiniti per la estenuante ricerca.
L’albergo era lussuoso, ma con troppi corridoi e ascensori appunto. L’ingresso era ampio. Davanti al grande bancone della hall, un tappeto persiano color rosso antico, rosso come  la passione, l’erotismo e l’amore, ma anche la violenza, la rabbia e la crudeltà. Dietro il bancone un giovane ragazzo alle prime armi da receptionist. Era abbastanza arrogante, ma ho attribuito questo atteggiamento alla sua inesperienza, alla continua e presente paura di sbagliare, che tra l’altro gli si leggeva in faccia, alla sua precarietà nonostante l’importanza del ruolo ricoperto.                        Quando siamo arrivati la spiaggia era deserta. Tanti gli ombrelloni aperti a stento a causa del vento, ma poca la gente. In un istante una folla ha riempito la distesa di sabbia e non c’era più posto nemmeno per me. Ricordo di essermi innervosita particolarmente. Nell’enciclopedia dei sogni sognare mare grosso rappresenta un profondo turbamento interiore, un animo inquieto, ma anche una vita passionale. Quel mare era di un blu spiazzante, scuro e profondo nonostante fossimo vicino la riva. Il colore blu, che tra l’altro è il mio colore preferito, rappresenta delle paure nascoste che si agitano nei meandri del nostro io più profondo.
E questa sensazione di inquietudine è confermata da quelle folate di vento aggressive che rovinavano la mia bella giornata al mare. Era tutto molto confuso, non riuscivo a comprendere quello che stava accadendo intorno a me. Quel mare così grosso, cosi in tempesta, nonostante il sole fosse alto nel cielo, mi incuteva paura, palpitazione, terrore. Ho tirato un sospiro di sollievo solo quando ad un tratto mi sono ritrovata su una nave quasi da crociera, andante su quelle onde cosi spaventose, con il vento fastidiosissimo tra i capelli e la paura che quella nave, un tratto cosi grande e un minuto dopo cosi piccola da sembrare una scialuppa di salvataggio, affondasse. Alla riduzione delle dimensioni terminava la tranquillità raggiunta  per quei pochi secondi e ricordo il mio cuore fremere dalla paura e dallo sconforto, ma allo stesso tempo ricordare la poesia del Leopardi “ La quiete dopo la tempesta” come a volermi rassicurare, nutrendo la speranza che dietro quelle onde, passato il vento e la paura, possa ritornare il sereno; in fondo il sole alto nel cielo era sempre presente proprio per ricordarmi che lui era li, che il sole non mi aveva mai lasciato e che il sole forse proprio sole non era.Ho avuto paura stanotte e mi sono più volte rigirata nel letto con la bocca asciutta. Solo appena sveglia sono riuscita a comprendere che si era trattato solamente di un sogno, ma quella realtà onirica voleva pur significare qualcosa, mi stava comunicando  ciò che il mio inconscio voleva che io sapessi. Voleva mostrarmi il mare in tempesta che senza saperlo sto attraversando, delle onde che sto cavalcando, della passione che sto mettendo in questa mia navigazione, della paura che affronto senza nemmeno rendermene conto. Stanotte ho sognato mare grosso, lo stesso mare che navigo da giorni!