La situazione sta
precipitando…. Sto perdendo quota come un aereo con un guasto al motore. Il mio
guasto si trova infatti al centro della gabbia toracica e porta con se un
rumore fastidioso alla testa, nella scatola cranica…come se la scatola nera di
quell’aereo parlasse.
Io sono il pilota
di quell’aereo messo male. Fortunatamente non ho passeggeri a bordo, o forse indirettamente
ne ho molti tra parenti e amici. Sono da sola e mi sto andando a schiantare contro
l’Everest. Da un lato ci sono attimi in cui provo l’ebrezza della morta, l’adrenalina
di dire vado via da questo mondo infame che altro non porta che dolore…io muoio…
adesso soffrite voi!
Dall’altro guardo
quel muro che si avvicina sempre più al muso del mio aereo e ho paura, perché non
sono pronta a morire, non so com’è.
Questo volo sta
durando una eternità. E ogni attimo è buono per vedere passare la mia vita
davanti. Vorrei solamente che qualcuno della cabina di controllo fosse qui al
mio posto, qualcuno mi esperto di me o con due palle più grandi delle mie. Qualunque
scelta porterà alla morte, qualunque scelta sarà errata, qualunque mia
decisione sarà rimessa al giudizio di una squadra di esperti che apriranno un
fascicolo sulla mia vita, sulla mia professionalità, su di me… alle volte dico “Chi
se ne frega! Tanto io sarò morto!”, però allo stesso tempo si alimenta in me
quella speranza di sopravvivere in un modo o nell’altro e la preoccupazione di
quel fascicolo è talmente tanta che la speranza termina improvvisamente.
Che esempio posso
essere io per i piloti ancora in erba? Cosi fragile, così indecisa, così poco
esperta nonostante 26 anni di pilotaggio. Nessuno! O forse… l’esempio da non
seguire… quello sbagliato sulla base del quale è necessario prendere le
distanze e adottare piani differenti, per non commettere gli stessi errori. In
fin dai conti, sotto questo punto di vista potrei essere ugualmente un esempio!
E nei confronti
dei miei superiori, che hanno cercato di darmi lezioni di volo senza mai
tralasciare un minimo dettaglio, alzandosi presto la mattina per studiare un
addestramento degno di rispetto, che hanno sacrificato molte delle proprie ore
libere per insegnare proprio a me alcune tecniche fondamentali di
sopravvivenza, che figura sto facendo? Li sto deludendo certamente… li sto
facendo pentire di aver messo in campo un pilota fallito come me, un pilota
privo di palle che non riesce a decidere tra la vita e la morte… eppure…. Quella
morte è cosi affasciante da togliere il fiato. Mi è capitato di parlare con la
morte… e tra le sue parole stavo bene. Mi parla di un mondo privo di
sofferenza, tra le braccia di qualcuno di più grande del terreno; di un mondo
in cui qualunque decisione non tangerà a nessuno perché tanto non potrai più
far del male a nessuno. Mi parla di un cambiamento che affascina, anche se non
ne conosco i motivi fino in fondo perché se rifletto qualche secondo con
lucidità la morte ha seminato del male. Ha fatto versare lacrime, diffuso disperazione
e solitudine; ha aperto ferite che non si rimargineranno facilmente.
Eppure… mi piace!
Morire vuol dire
fare le valigie ed essere rifiutata dalla società che non accetta il tuo
schianto, forse l’ennesimo, perché non è la prima situazione analoga! Vuol dire
essere considerata una suicida del corpo e dell’anima; un pilota privo di
dignità che non merita rispetto per l’aver scelto di morire, pur capendo che lo
schianto era vicino. Un pilota che non
merita di riceve asilo nella mente di nessuno, nel cuore di nessuno, perché in
fondo il parere della repulsione è univoco e comune.
I minuti passano
scanditi dal ticchettio dell’orologio che porto al polso…. Tic tac…. Tic tac…. Sta
scadendo il tuo tempo… Tic tac…. Devi prendere una decisione. L’Everest è proprio
di fronte a te… devi scegliere tra morire e vivere, devi scegliere tra il bene
e il male.
Ho una idea: mi
butto dall’aereo… abbandono l’aereo e mi tuffo nel vuoto…. O volere o volare
morirò comunque!
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