domenica 15 marzo 2020

Siamo in guerra!

Allo scoccare del secolo esatto, quando le ultime due cifre dell’anno segnano 20, pare si manifesti una delle tante calamità naturali che segna profondamente la popolazione mondiale nel corpo e nello spirito.
È questa la profezia che sembra accompagnare la nostra storia, quella già studiata sui libri di scuola e quella invece che deve essere ancora scritta e studiata da chi ci seguirà.
Gli amanti del complottismo hanno ricamato su questa notizia che pare porti il titolo “La maledizione del ‘20”, indicante la coincidenza puntuale del diffondersi cadenzato di una pandemia.
Nel 1720 la peste colpì duramente la Francia, in particolare Marsiglia, città portuale nella quale attraccò la Grand Saint Antoine, la nave proveniente dalla Siria che trasportava non solo stoffe e cotone, ma anche la peste. Inevitabilmente la malattia si diffuse in poco tempo, decimando più di un quarto della popolazione. Anche allora non si capì dal principio si trattasse di peste in quanto i primi deceduti dell’equipaggio, nove per la precisione, non mostravano evidenti sintomi di contagio, quindi, distrattamente, si pensò che i soggetti non avessero sopportato l’estenuante viaggio intrapreso.
Nel 1820 fu la volta del colera, la malattia che molti definirono “della rivoluzione industriale”. Questo perchè la prima rivoluzione industriale aveva favorito lo sviluppo della navigazione a vapore, una rete ferroviaria sempre più fitta, un maggior numero di mezzi di trasporto sia marittimi che terrestri favorendo la circolazione di uomini, di idee, di mentalità ma anche di malattie.
Ed infine, tra il 1918 e il 1920, dilagò l’influenza spagnola, detta anche Grande influenza o epidemia spagnola, una vera e propria pandemia influenzale che uccise decine di milioni di persone nel mondo. Si trattò di una semplice influenza che si diffuse rapidamente attraverso i massicci spostamenti delle truppe impegnate nel conflitto mondiale. Già allora si era coscienti del fatto che quando una persona infetta starnutisce o tossisce, più di mezzo milione di particelle virali possono essere diffusi nelle vicinanze. Pertanto gli alloggi sopraffollati e gli inevitabili spostamenti dei soldati accelerarono la diffusione della pandemia e probabilmente anche la mutazione del virus.
Certamente gli studiosi hanno anche tenuto in stretta considerazione che il sistema immunitario dei soldati fosse già compromesso a causa della malnutrizione, dello stress e della paura dei combattimenti.
Leggendo questo stralcio di storia non posso fare a meno che notare le tante similitudini con l’epoca attuale. Certo sono cambiati gli scenari e i soggetti in quanto non si parla più di soldati in movimento; ma se per un attimo sostituiamo i soldati con le milioni di persone che giornalmente si muovono all’interno del territorio nazionale e non, per motivi di lavoro, di famiglia, di salute, o di semplice svago; e se aggiungiamo a questi i fattori descritti quali lo stress, la malnutrizione intesa come male- nutrizione e la paura che ciascuno di noi sviluppa nei confronti di qualche argomento particolare, non vi sembra di stare parlando dell’attuale 2020?
Siamo in guerra! Una guerra silente, priva di bombardamenti, ma con assordanti colpi di tosse che fanno tremare le gambe.
Siamo in guerra e il nostro nemico si chiama COVID-19. Ogni giorno intorno alle 18:00 giunge puntuale il bollettino di guerra della protezione civile con l’aggiornamento del numero di casi in aumento, dei numeri di decessi, dei guariti a distanza di tempo.
La sanità funziona a rilento perchè la malattia dilaga troppo in fretta; la migliore del mondo quella italiana, dicono, ma quando i posti i letti non sono garantiti per tutti gli ammalati allora come si fa a garantirne la qualità!
Siamo in guerra e molte famiglie aspettano i propri familiari dal fronte, un fronte attualmente troppo lontano, dal quale non poter scappare. Si va ma chissà quando e se si ritornerà.
Io ho una mamma e una sorella fuori dalla fortezza. Sono al nord per motivi di lavoro e li devono rimanere, non solo a seguito del decreto, ma perché dal punto di vista civico è giusto cosi.
E quindi rimaniamo in guerra ciascuno al proprio fronte di combattimento, senza sostenerci. Per fortuna esistono i nuovi mezzi di comunicazione e possiamo continuare a vederci a sentirci, a restare in contatto per incoraggiarci e aiutarci anche se a distanza.
Mia sorella in prima linea per il suo lavoro da infermiera; mia mamma invece a casa a tessere le fila di quelle scarpette di lana che solo lei sa fare all’uncinetto nell’attesa che tutto passi, silenziosamente così come è venuto, allontanandosi e lasciando il nostro paese una volta per tutte per riprendere i quotidiani ritmi. Come Penelope ad ogni punto da intrecciare il suo umore cambia perché i pensieri pervadono la mente e lentamente ti divorano fino a quando pensi di impazzire.
Le notizie diventano sempre più assillanti e pensanti, soprattutto dal punto di vista psicologico e dell’umore inevitabilmente. Ho sempre considerato il virus lontano da me e dalla mia fortezza ,inespugnabile come il simbolo di Chiaramonte sul Lago, il Castello.
Eppure adesso riesco quasi ad avvertire il suo arrivo il suo arrivo, il suo passo felpato come il trotto di un cavallo, anzi tanti cavalli. Ne avverto le vibrazioni e ad ogni colpo, che in questo caso è un sintomo anche lontano, tremo!
Siamo soli, chiusi nelle case senza contatti con il mondo esterno. Non possiamo nemmeno chiamare Dio perché le chiese restano chiuse e anche Dio sembra non avere il lascia passare per la Terra, anche Lui resta in isolamento, monitorando la situazione dell’alto.
Ciascuno prega, individualmente,  modo proprio: c’è chi prega Dio, chi il proprio santo protettore, chi la scienza affinchè la malattia possa arrestarsi in un modo o nell’altro. Si attende un vaccino, una spiegazione ad una epidemia che sta diventando un’arma di sterminio mondiale, situazione alquanto simile alla trama di “Inferno” di Dan Brown.
L’Italia è dichiarata “zona rossa”. Isolata, sola, in ginocchio economicamente. La gente rinchiusa nelle case è frustata dal punto di vista psicologico. Ma è giusto cosi. 
“Rimaniamo tutti distanti oggi per riabbracciarci domani”.  Andrà tutto bene! Non possiamo morire, non dobbiamo e per adesso non è nemmeno il caso dal momento che sono banditi tutti i riti religiosi, anche i funerali…Ho paura ma non posso cedere perché io “Voglio morire in Piazza Grande”.



mercoledì 18 settembre 2019

Essere Elisabetta


Essere Elisabetta è il nuovo mood del momento. Essere Elisabetta come la regina d'Inghilterra, invidiabile certamente per la sua regalità e certamente per la sua invidiabile longevità.
Chi ha visto il film dedicato alla matriarca non ha potuto che apprezzare il carattere di questa donna, interpretata magistralmente da una Claire Foy perfettamente calata nel personaggio: una forza tale da farla apparire una lastra di ghiaccio, impenetrabile, infrangibile, ma allo stesso tempo fragile e talvolta insicura, tratti tipici di ogni donna, di quelle che piangono sotto la doccia per confondere le proprie lacrime con lo scorrere dell'acqua corrente; di quelle che nonostante distrutte da una vita troppo ardua appaiono come rose appena colte, di un colore rosso ciliegia per via del loro rossetto acceso, quasi a voler essere una armatura perfetta e illesa o forse una corazza che decanta le loro vittorie, la loro supremazia sul male del mondo, della società e forse anche dell'uomo con cui condividono il letto nuziale!
Ma nella nuova epoca “c'è una nuova regina in città” per dirla con una celebre frasi di un qualche film. “Un fiore nato dal letame”, sempre per utilizzare una nota canzone, e non una metafora in senso dispregiativo o negativo, ma una frase per indicare una donna che ha usato gli attributi, ma ancor prima la testa, che ha creato il suo impero dal nulla e adesso lo ama e per questo prospera.
Lei è Elisabetta Franchi e per chi non la conoscesse (dubito fortemente) è una delle stiliste italiane più apprezzate nel campo della moda. Una tipetta niente male che ho avuto modo di attenzionare grazie all'uso dei social media e in particolare di instagram, il mezzo che lei utilizza “ovunquemente” e “comunquemente”.
Se vuoi conoscere la signora Franchi basta seguire le sue storie e lei ti ingloberà nella sua vita facendoti sognare ad occhi aperti, rendendoti parte integrante di quel sogno che in verità è la sua vita reale e condividendo con te ogni singolo pensiero, sentimento e azione.
Certe volte scherzando, parlando con le mie amiche la definisco la mia amica Betta perchè in fondo è come se mi sentissi facenti parte della sua vita.
Quando sono giù di morale per una qualche banale motivazione la penso e quasi sovrappensiero apro Instagram e clicco sulle sue storie perchè sono certa che mi strapperà un altro sorriso con il suo modo di parlare, quel buffo ma raffinato accento bolognese, con il suo modo di ballare e cantare in giro per le stanza della sua #houselacontadina.
Ammiro davvero il suo modo di vivere e non tanto per le decine di migliaia di euro che le consentono una vita agiata e senza pensieri su yacht da capogiro o suite d'albergo di chissà quanti zeri! No.... la ammirò per il suo modo di essere e non di presentarsi alle persone che sono due cose giacenti ai poli opposti.Sicura di se, per certi versi sfacciata, maschiaccio ma elegante e sognatrice, giovane ma con esperienza, simpatica, pazzerella ma con la testa sulle spalle, una gran bella testa.
E ancora... la sua vivacità, la positività del suo pensiero e delle sue azioni; il modo di godersi la vita come se avesse sempre un'età adolescenziale.
La guardo e penso: caspita noi giovani non riusciamo a goderci un briciolo di vita cosi come ci si presenta. Sempre insoddisfatti, alla ricerca dell'esilarante attraverso droghe, alcool, vizi perversi, idee di depravazione, stupri.
Noi giovani che fingiamo di essere poeti maledetti la cui vita è stata colpita da chissà quale male incurabile, quando i nostri unici problemi sono scegliere quale jeans indossare. Noi perseguitati da chissà quale sfiga o malocchio senza renderci conto che i veri sfigati siamo sempre noi, poveri di intelletto a credere in queste mere superstizioni.
Noi che non sappiamo appassionarci a nulla se non ad un videogioco, rigorosamente violento e brutale, o alle sole partite di calcio, invidiando costantemente quegli uomini che rincorrono il pallone per la conduzione della loro vita, per la fama e per questo pensiamo bene di scaraventare la propria frustrazione attraverso uno stupido gioco chiamato Fantalcalcio in cui possiamo finalmente ergerci quali allenatori ufficiali dei giocatori, decidendo se farli giocare o lasciarli in panchina. Eppure di emularli non se ne parla proprio; di lasciare il letto, il divano e la routine per praticare uno sport, per dedicarci al nostro corpo... no per quello non c'è mai del tempo!
Betta invece trova il tempo per fare tutto questo. La sua giornata comincia presto, o meglio presto per i ritmi dei giovani abituati a lasciare il letto alle ore “mezzogiorno”!
Lei inizia alle 7:00 circa dedicandosi delle ore per il benessere psico-fisico. Cammina, suda, e lo fa con il sorriso perennemente sulle labbra, felice per quella fatica, felice per se stessa.
Doccia e via al lavoro nel suo meraviglioso quartiere dove ciascuno la venera come una dea. Effettivamente mi sono chiesta se qualcuno possa non sopportarla, in alcune giornate, perchè ho come l'impressione che la signora Franchi sia una maniaca della perfezione, del tutto in ordine, una dittatrice democratica. Ma chissà... questo resta solamente un dubbio amletico!
Un giorno andai sul sito del marchio in verità per mandare un cv per una qualche collaborazione (anche addetta all'aspirapolvere mi sarebbe andato bene) ma purtroppo le posizioni aperte riguardavano solamente addette al cucito, sarte e simili e data la mia esperienza con ago e filo in mano pari a zero o comunque limitata a qualche punto dato (malamente) per recuperare qualche calzino bucato, ho lasciato perdere la mia ricerca e mi sono soffermata sul sito di Betta.
Prima la sua storia, poi gli abiti. Gli occhi ad un tratto presero la forma di cuori scintillanti a dir poco sognanti.
I suoi abiti sono una delizia per gli occhi. I colori, i modelli, gli abbinamenti. Una moda alla portata di tutti con abiti per ogni occasione, una moda elegante e mai volgare, a volte sobria ca volte con qualche colore troppo “sgargiante” per i miei gusti, ma pur sempre gradevoli alla vista.
Sfumature, modelli, accessori. Era tutto meravigliosamente perfetto!
La magia svanì poco per volta dapprima quando comparvero i prezzi, a dir poco inaccessibili per una disoccupata come me, la classica trentenne che dopo aver trascorso una vita sui libri si ritrova ad una età ormai da marito e figli con una occupazione occasionale, in nero e con un salario che di certo non può permetterle un abito di Elisabetta Franchi!
Ma quei pantaloni blu a vita alta erano la fine del mondo: blu notte, un blu perfetto, modello a caviglia; mi sentivo già dentro quei pantaloni che tra l'altro erano anche in saldo, ma purtroppo la taglia ultima concepita dagli stilisti è la 48. Troppo rischioso ordinare su internet una 48 di un modello di un tessuto e di un marchio di cui non si conosce nulla se non la stemma.
E in quel momento avrei voluto scrivere una lettera a Betta.
Cara Betta, mia amica di Instragram, non tutte noi donne siamo cosi perfettamente conservate come te e la regina; non tutte possiamo permetterci un corpo statuario anche dopo due gravidanze, non tutte abbiamo quello stocco di coscia che ti ritrovi.
Perchè non ti soffermi un attimo a pensare anche a noi curvy, con una linea dedicata a noi che seppur con qualche kg in più amiamo la moda, il vestire bene e vogliamo essere come le altre, come quegli stuzzicadenti che in spiaggia ci guardano a mo' di radiografia, che però ci invidiano il seno prosperoso e il sorriso smagliante, perché noi curvy siamo tutte sorridenti e solari.
Cara Betta io mi sottoporrei volentieri alla tua indiscutibile scelta di moda: potrei farti da cavia, non da modella perché non mi permetterei mai di definirmi tale, ma potrei prestare il corpo per una giusta causa, quella delle curve, la giusta causa contro l'anoressia, contro un mondo infelice a causa dell'emulazione di miti alti 1,70 m e taglia 38, dal girovita da vespa.
Potrei essere quella giusta causa contro l'infelicità di tutte quelle ragazze che in leggero sovrappeso, stanchi delle derisioni dei bulli, ma soprattutto delle bulle, tentano, alle volte “con successo”, il suicidio, perché il peso della vergogna è maggiore di quello segnato dalla bilancia, perché svegliarsi tutte le mattine e dover andare a scuola ad affrontare nomi come “signora prosciuttona”, “mongolfiera” non sempre è semplice e non sempre si ha la forza di rimettersi in piedi.
Ecco cara Betta cosa avrei voluto scriverti dopo l'umiliazione della taglia 48.
Quindi se non ci hai ancora pensato dedicati alle curvy, almeno fino alla taglia 50-52, e il tuo nome sarà rappresentato da donne belle, forti, solari, femminili, eleganti e non volgari, ma in carne!

domenica 29 luglio 2018

MAYDAY MAYDAY… LO SCHIANTO CON L’EVEREST E’ VICINO


La situazione sta precipitando…. Sto perdendo quota come un aereo con un guasto al motore. Il mio guasto si trova infatti al centro della gabbia toracica e porta con se un rumore fastidioso alla testa, nella scatola cranica…come se la scatola nera di quell’aereo parlasse.
Io sono il pilota di quell’aereo messo male. Fortunatamente non ho passeggeri a bordo, o forse indirettamente ne ho molti tra parenti e amici. Sono da sola e mi sto andando a schiantare contro l’Everest. Da un lato ci sono attimi in cui provo l’ebrezza della morta, l’adrenalina di dire vado via da questo mondo infame che altro non porta che dolore…io muoio… adesso soffrite voi!
Dall’altro guardo quel muro che si avvicina sempre più al muso del mio aereo e ho paura, perché non sono pronta a morire, non so com’è.
Questo volo sta durando una eternità. E ogni attimo è buono per vedere passare la mia vita davanti. Vorrei solamente che qualcuno della cabina di controllo fosse qui al mio posto, qualcuno mi esperto di me o con due palle più grandi delle mie. Qualunque scelta porterà alla morte, qualunque scelta sarà errata, qualunque mia decisione sarà rimessa al giudizio di una squadra di esperti che apriranno un fascicolo sulla mia vita, sulla mia professionalità, su di me… alle volte dico “Chi se ne frega! Tanto io sarò morto!”, però allo stesso tempo si alimenta in me quella speranza di sopravvivere in un modo o nell’altro e la preoccupazione di quel fascicolo è talmente tanta che la speranza termina improvvisamente.
Che esempio posso essere io per i piloti ancora in erba? Cosi fragile, così indecisa, così poco esperta nonostante 26 anni di pilotaggio. Nessuno! O forse… l’esempio da non seguire… quello sbagliato sulla base del quale è necessario prendere le distanze e adottare piani differenti, per non commettere gli stessi errori. In fin dai conti, sotto questo punto di vista potrei essere ugualmente un esempio!
E nei confronti dei miei superiori, che hanno cercato di darmi lezioni di volo senza mai tralasciare un minimo dettaglio, alzandosi presto la mattina per studiare un addestramento degno di rispetto, che hanno sacrificato molte delle proprie ore libere per insegnare proprio a me alcune tecniche fondamentali di sopravvivenza, che figura sto facendo? Li sto deludendo certamente… li sto facendo pentire di aver messo in campo un pilota fallito come me, un pilota privo di palle che non riesce a decidere tra la vita e la morte… eppure…. Quella morte è cosi affasciante da togliere il fiato. Mi è capitato di parlare con la morte… e tra le sue parole stavo bene. Mi parla di un mondo privo di sofferenza, tra le braccia di qualcuno di più grande del terreno; di un mondo in cui qualunque decisione non tangerà a nessuno perché tanto non potrai più far del male a nessuno. Mi parla di un cambiamento che affascina, anche se non ne conosco i motivi fino in fondo perché se rifletto qualche secondo con lucidità la morte ha seminato del male. Ha fatto versare lacrime, diffuso disperazione e solitudine; ha aperto ferite che non si rimargineranno facilmente.
Eppure… mi piace!
Morire vuol dire fare le valigie ed essere rifiutata dalla società che non accetta il tuo schianto, forse l’ennesimo, perché non è la prima situazione analoga! Vuol dire essere considerata una suicida del corpo e dell’anima; un pilota privo di dignità che non merita rispetto per l’aver scelto di morire, pur capendo che lo schianto era vicino.  Un pilota che non merita di riceve asilo nella mente di nessuno, nel cuore di nessuno, perché in fondo il parere della repulsione è univoco e comune.
I minuti passano scanditi dal ticchettio dell’orologio che porto al polso…. Tic tac…. Tic tac…. Sta scadendo il tuo tempo… Tic tac…. Devi prendere una decisione. L’Everest è proprio di fronte a te… devi scegliere tra morire e vivere, devi scegliere tra il bene e il male.
Ho una idea: mi butto dall’aereo… abbandono l’aereo e mi tuffo nel vuoto…. O volere o volare morirò comunque!


martedì 22 maggio 2018

"Senza il dono non c'è l'altro, senza l'altro non c'è identità"



Sto leggendo un libro e pagina dopo pagina il mio respiro cambia velocemente il suo ritmo passando da regolare, a tratti lento, a molto oscillante, eccessivamente rapido.
Ogni frase avvolge la mia mente e incanta la mia anima e con la matita sempre a portata di mano sottolineo prima una riga, poi un’altra e un’altra ancora e ad ogni tratto mi soffermo con gli occhi rivolti nel vuoto e penso che quelle parole siano la realtà, la mia realtà.
Non è un romanzo ne un libro di qualsivoglia genere; è un libro di vita nato con scopi didattici che a mio parere dovrebbe essere sottoposto alla lettura di ciascuno di noi perché incarna l’essere, anzi l’essenza di ogni uomo.
I temi affrontati sono i più svariati, gli stessi che nell’arco di vita ciascuno di noi è chiamato a svolgere in maniera più o meno consapevole, o comunque con più o meno difficoltà.
L’amore, l’eterna ricerca della felicità, la schiavitù dalla tecnologia: tutto trattato con un taglio concreto, reale, tangibile come se potessimo toccarlo allungando un solo dito. Un continuo sussurrare frasi come “è esattamente cosi”… “è esattamente ciò che sta succedendo a me o ad una amica o una conoscente”.
Un libro moderno, contemporaneo ma anche ricco di una componente del passato, con un velo prettamente nostalgico di riferimenti ai valori tradizioni, quelli che molti considerano passati o obsoleti, come la famiglia, i valori, la tradizione in sé e per sé.
I miei occhi brillano ad ogni singola riga e il cuore sobbalza ad ogni verità recondita che la luce della quotidianità cela abilmente.
L’identità per esempio… cos’è l’identità? È tutto ma può anche non significare niente.
Abbiamo riflettuto mai sul fatto che ciascuno di noi oggi ha difficoltà a dipingere una propria identità?  “Le identità sono vestiti da indossare e mostrare, non da mettere da parte e tenere al sicuro” si legge. Scatta in me di conseguenza la fatidica domanda personale che analizza me e me nel contesto in cui vivo. Chi sono io? Sono sempre la stessa donna in ogni circostanza o la mia identità varia ad ogni rintocco del cambiamento o dell’avvenimento?!
Chi siamo noi, giovani impauriti da un futuro “che non è più una promessa ma una minaccia, che ha creato un’impossibilità di progettare e dare un senso di continuità a ciò che invece dovrebbe avercelo, come la nostra identità”.
Una società bloccata dalla paura che genera ansia e dalla quale a sua volta scaturiscono sentimenti paranoici e in questa nuvola di angoscia, fobia e paura di un pericolo imminente “diventiamo sospettosi di amici ed inevitabilmente di nemici”, viviamo un legame in maniera patologica, perseguitati e non amati dall’altro.
E ancora una società di giovani privi di speranza, dominata da un individualismo becero e serrato, dal “comunitarismo tribale” e come indigeni avidi di potere cerchiamo di accentuare il nostro Io, di creare un mondo fatto di soli IO, anche incorrendo nella solitudine dal momento che nessuno esiste per l’altro.
Diciamo continuamente di non avere tempo; tempo per andare a trovare i nostri genitori, tempo per andare a trovare gli anziani nonni, tempo da dedicare alla cura delle persone, eppure trascorriamo tantissimo tempo a chattare su siti online o sui social network. Ci alziamo la mattina con il pensiero di scorrere le bacheche virtuali assetati dalla voglia di sapere cosa sia successo nelle ore notturne, e ignari dello scorrere del tempo facciamo tardi al lavoro, a scuola, ad una riunione, perdiamo il treno o magari corriamo come forsennati con l’auto per riuscire a prendere quell’unica coincidenza che ci farebbe arrivare in orario al nostro appuntamento. E non riusciamo neppure ad addormentarci senza dare un’ultima occhiata ai social, possibilmente augurando la buonanotte a qualche amica/o virtuale o lasciando qualche apprezzamento che faccia breccia nei sogni del destinatario. E possibilmente qualche istante prima ci eravamo allontanati frettolosamente dagli amici o dalla famiglia,  dir poco scappando, con la furia di addormentarsi in orario per godere delle necessarie ore di sonno.
La parola d’ordine della nostra vita è diventata connessione; internet è il luogo dove ormai trascorriamo la nostra vita senza più distinguere il virtuale dal reale; in tal senso ci disorientiamo e non riusciamo a gerarchizzare, ad attribuire la giusta priorità alle differenti finestre di opportunità che si aprono davanti ai nostri occhi.
E l’amore allora? Non ha alcuna speranza?
Si, il suo destino è a dir poco segnato. L’uomo è ormai privo di sentimenti che ha facilmente sostituito con la ricerca spasmodica del piacere infinito fatto di corpi statuari debitamente scolpiti dalla chirurgia estetica, di sesso privo di regole e certamente di sentimento.
“Solo quando l’amore sarà considerato come un dono , l’uomo potrà dare un senso alla propria esistenza”, cosi cita il libro. Il dono ha come fine l'uomo, non si serve dell'uomo. Il dono scardina l'Io dando un senso all'altro... Nel dono si comincia a sentire il respiro dell'altro e tutto diventa ciò che normalmente non è. Senza il dono non c'è l'altro, senza l'altro non c'è identità ".

giovedì 26 aprile 2018

Noi ...D'Annunzi di oggi!


Nel 18…e qualcosa, in Inghilterra, la regina Victoria ha conosciuto il vero amore, quello che viene narrato ad ogni bambina leggendole una favola.
Una giovane donna, regina al trono, forte e decisa alla guida di una nazione che incontra per caso un giovane altrettanto bello e forte, nonché erede al trono di un’altra nazione, di cui se ne innamora già al primo sguardo per i modi di fare, per l’imbarazzo che si crea, per i discorsi dolci e senza uno specifico doppio senso.
Altrettanto forte come moglie e madre, emblema di donne come poche, ispiratrice di una intera generazione di Milady che purtroppo non ha avuto le stesse fans all’epoca di Facebook e Instagram.
Dopo di lei, Elisabetta, stessa tenacia, uguale carattere, uguale forza. Credo fermamente che l’Inghilterra debba il suo splendore proprio alle due regnanti più longeve delle storia, alla loro potenza e fermezza, alla loro grandezza.
Entrambe hanno conosciuto il vero amore, quello che toglie il fiato ad ogni respiro, quello che uccide piacevolmente ad ogni sguardo, quello che lacera con petali di rose il cuore ad ogni singola parola; l’amore che riempie il cuore, gli occhi, le labbra. L’amore come comprensione, sopportazione silenziosa, stima, elogio, felicità, fedeltà, ma soprattutto complicità e affetto.
Un amore dunque che oggi è solo lontanamente pensabile in qualsiasi coppia che si definisca tale.
Siamo tornati in un’epoca in cui è l’edonismo a far da padrone: siamo tutti un po’ dei “D’Annunzi” che pensano a soddisfare e placare il proprio piacere, qualunque esso sia; ciascuno impegnato nella propria battaglia della popolarità, quella dell’IO sopra ogni cosa, quella dell’IO migliore di qualunque cosa.
Siamo talmente occupati ad amare noi stessi, ciascuno a proprio modo, che ci dimentichiamo della persona che abbiamo al nostro fianco, la stessa persona che abbiamo “scelto” per la naturale indole del o al completamento.
È infatti la natura a spingerci verso il sesso opposto come se fossimo dotati di cariche opposte che per la fisica inevitabilmente si attraggono. Ci uniamo per inerzia, per abitudine forse, o semplicemente per seguire la natura, l’indole, l’istinto.
Una volta il comportamento dell’uomo era giustificato dall’appellativo primitivo, privo di qualunque tipo di razionalità. Studi scientifici hanno poi dimostrato che l’uomo è in realtà dotato di quella razionalità, di una intelligenza in grado di discernere il bene dal male, il giusto dallo sbagliato, il vero dal falso.
In realtà credo che questa intelligenza sia solamente il frutto del caso: i ricercatori probabilmente si saranno trovati al posto giusto nel momento giusto, esattamente nell’istante in cui il caso ha voluto che l’uomo si comportasse in un determinato modo; in caso contrario non si spiegherebbe il perché gli uomini commettano degli errori. Dove era in quell’esatto momento l’intelligenza?
È pertanto corretto pensare che l’intelligenza funzioni solamente due volte su  mentre per tutte le altre volte il meccanismo si inceppi vergognosamente?
L’istinto è allora quello di pensare a noi stessi, pur sempre con una persona al nostro fianco: si spiegherebbe cosi il perché ai buffet si vada in compagnia ma ciascuno pensi a riempire il proprio di piatto o il perché si pensi prima a sfamare noi stessi e, solo in un secondo momento, FORSE, il proprio partner.
Ciò che mi risulta estremamente alieno è invece il rapporto madre- figlio in cui, nella maggior parte dei casi, l’egoismo è al quanto assente o inverso.
La madre pensa prima ai fabbisogni dei figli, e solo dopo al proprio.
L’egoismo è in senso inverso: dal figlio verso la madre e lo si dimostra inconsciamente dai primi mesi di gestazione: si mangia togliendo alla madre, si provoca alla madre per la sola “voglia” di uscire fuori, si sottrae tempo al sonno della madre per la nostra “ingordigia” di voler mangiare ogni tre ore scarse.
Forse allora l’egoismo è insito nella natura dell’uomo; ciascuno di noi nasce, cresce e muore egoista.
E si riversa tutto inesorabilmente nell’amore: sarebbe bello che qualcuno si prendesse cura di noi hanno fatto a suo tempo le nostre mamme, ma il discorso ruota sempre intorno allo stesso punto: nella coppia entrambi pretendono egoisticamente l’amore delle rispettive madri…
È un cerchio che non ci chiuderà mai o rare volte!


lunedì 8 gennaio 2018

Stanotte ho sognato mare grosso

Era una bella giornata di sole, ma molto ventosa. Siamo scesi in spiaggia e le onde spazzavano via i nostri teli distesi sulla sabbia. Il nostro arrivo in albergo era stato molto inquieto. Prima i bagagli persi in uno dei tanti ascensori, poi lo smarrimento tra i tanti corridoi per ritrovare la nostra camera. Infine noi seduti sulla moquette di quel labirinto sfiniti per la estenuante ricerca.
L’albergo era lussuoso, ma con troppi corridoi e ascensori appunto. L’ingresso era ampio. Davanti al grande bancone della hall, un tappeto persiano color rosso antico, rosso come  la passione, l’erotismo e l’amore, ma anche la violenza, la rabbia e la crudeltà. Dietro il bancone un giovane ragazzo alle prime armi da receptionist. Era abbastanza arrogante, ma ho attribuito questo atteggiamento alla sua inesperienza, alla continua e presente paura di sbagliare, che tra l’altro gli si leggeva in faccia, alla sua precarietà nonostante l’importanza del ruolo ricoperto.                        Quando siamo arrivati la spiaggia era deserta. Tanti gli ombrelloni aperti a stento a causa del vento, ma poca la gente. In un istante una folla ha riempito la distesa di sabbia e non c’era più posto nemmeno per me. Ricordo di essermi innervosita particolarmente. Nell’enciclopedia dei sogni sognare mare grosso rappresenta un profondo turbamento interiore, un animo inquieto, ma anche una vita passionale. Quel mare era di un blu spiazzante, scuro e profondo nonostante fossimo vicino la riva. Il colore blu, che tra l’altro è il mio colore preferito, rappresenta delle paure nascoste che si agitano nei meandri del nostro io più profondo.
E questa sensazione di inquietudine è confermata da quelle folate di vento aggressive che rovinavano la mia bella giornata al mare. Era tutto molto confuso, non riuscivo a comprendere quello che stava accadendo intorno a me. Quel mare così grosso, cosi in tempesta, nonostante il sole fosse alto nel cielo, mi incuteva paura, palpitazione, terrore. Ho tirato un sospiro di sollievo solo quando ad un tratto mi sono ritrovata su una nave quasi da crociera, andante su quelle onde cosi spaventose, con il vento fastidiosissimo tra i capelli e la paura che quella nave, un tratto cosi grande e un minuto dopo cosi piccola da sembrare una scialuppa di salvataggio, affondasse. Alla riduzione delle dimensioni terminava la tranquillità raggiunta  per quei pochi secondi e ricordo il mio cuore fremere dalla paura e dallo sconforto, ma allo stesso tempo ricordare la poesia del Leopardi “ La quiete dopo la tempesta” come a volermi rassicurare, nutrendo la speranza che dietro quelle onde, passato il vento e la paura, possa ritornare il sereno; in fondo il sole alto nel cielo era sempre presente proprio per ricordarmi che lui era li, che il sole non mi aveva mai lasciato e che il sole forse proprio sole non era.Ho avuto paura stanotte e mi sono più volte rigirata nel letto con la bocca asciutta. Solo appena sveglia sono riuscita a comprendere che si era trattato solamente di un sogno, ma quella realtà onirica voleva pur significare qualcosa, mi stava comunicando  ciò che il mio inconscio voleva che io sapessi. Voleva mostrarmi il mare in tempesta che senza saperlo sto attraversando, delle onde che sto cavalcando, della passione che sto mettendo in questa mia navigazione, della paura che affronto senza nemmeno rendermene conto. Stanotte ho sognato mare grosso, lo stesso mare che navigo da giorni!

venerdì 6 ottobre 2017

Benvenuti a palazzo Cruccio!

Ci sono delle date che ti segnano a vita. Giorni che sul calendario hanno le stesse caratteristiche di altri, ma che sul calendario del cuore sono scritti con l'inchiostro nero, nero come la pece, nero come la morte!
Il laccio attorno al mio cuore da mesi si è fatto ancora più stretto in questa notte gelida dove le temperature sono scese sotto lo zero come a volermi ricordare la bufera di neve che attraverso da tempo.
Le lacrime sono cadute giù a cascate fino alle prime luci dell'alba,  bagnando quel cuscino sul quale poggiavo la mia testa confusa, triste e impaurita.
Inizialmente non avevo fatto caso alla data, ma il mio calendario biologico non ha dimenticato l'anniversario e la mia anima, il mio cuore, la mia testa hanno ben pensato di dare una festa in nome di un amore finito.
Era una festa sfarzosa e anche lussuosa nonostante i colori scuri e cupi; la tristezza faceva da padrona, ma il vero protagonista era il dolore: bello, elegante, in tutto il suo splendore.
Ogni qual volta attraversava il salone del cuore, il dolore danzava, credo sulle note della Sinfonia di Dvorak Nuovo mondo, l'allegro con fuoco, ed io restavo a guardare incantata, lasciandolo prendere il sopravvento.
Dopo il primo ballo di apertura, ho fatto un giro per gli altri saloni del palazzo e il momento più inquietante è stato attraversare il corridoio dei ricordi.
In ogni parete un quadro appeso rappresentante una scena di un tempo felice, un tempo passato che mi è realmente appartenuto.
Con occhiate profonde e pungenti guardavo quei dipinti ed era come se una spada mi trafiggesse senza pietà.
Ho iniziato a correre verso il salone del cuore nella speranza di trovare un qualche appiglio di serenità, ma niente. il buio era calato in quel corridoio ad un tratto vuoto e spoglio.
Da quel momento ricordo solo lacrime, fiumi di lacrime e domande senza una risposta.