venerdì 9 dicembre 2016

Ci aspetteremo in milioni di altri amori

Leggo e ripropongo.

"Entrerò nei tuoi pensieri ogni tanto, probabilmente accadrà fino all'ultimo, come tutte le cose impossibili che si legano al vento che soffia nel cuore.
Poi mi spegnerai per dedicarti alla tua realtà, ma ci ritroveremo ancora in qualche sogno, in qualche flashback di passato che riaffiora dalle cose che fanno ruggine e che scorgerai ancora brillante, come un anello che non ha mai perso la sua lucentezza iniziale a dispetto del tempo.
Tu lo rimetterai al dito per ripercorrere incontri, stazioni, aeroporti, magie.
Ti scorrerò nelle vene in quel momento cosi forte da farti sembrare impossibile che io possa entrare come mare nel tuo corpo.
Ti accorgerai che la bellezza fa male, che tutto ciò che è troppo forte spinge sul petto e può far soffocare, dilaniare la carne quando debole si è arresa ad un facile addio.
Siamo morti insieme senza saperlo, per questo vivremo ognuno altrove.
Le visioni si mescoleranno alla realtà e immagineremo adulti i bimbi mai avuti, cresciuti nel pensiero senza noi.
Forse l'amore non basta, non si può stare bene insieme, non si può stare bene senza. [...]
Ci aspetteremo in milioni di altri amori per smettere di pensarci.
Faremo l'amore con corpi senza anima per scambiarcela ancora una volta e io realizzerò tutti i miei sogni, tutti quelli per cui basterà il mio impegno e mi mancherai accanto, quando stupidamente mi volterò tra la folla sperando di vedere il tuo sorriso illuminare di presenza un giorno disperato."

(Massimo Bisotti)

mercoledì 30 novembre 2016

La danza del dolore

Quando si tocca il fondo si avverte inesorabile il bisogno di riemergere in qualche modo, di risalire da quel dolore che per troppo tempo ti ha schiacciata.
Ma davanti agli occhi si innalza solamente una montagna e impauriti si rimane con il naso in su a guardare quell'altezza insormontabile.
Un giorno poi, d'improvviso, arriva quella forza tanto auspicava che permette di rialzarsi ed intraprendere il sentiero che conduce al di la della montagna, con il sentimento del combattente, emozionato e adrenalinico per quel che potrebbe accadere.
Dopo giorni di cammino su quel pendio cosi irto, cosi roccioso, cosi difficoltoso, giunge la stanchezza e inevitabilmente ci si siede a metà percorso per recuperare le forze.
Sfiniti e anche un po' scoraggiati, ci si accascia al suolo, sdraiati sull'erba umida, con le mani incrociate dietro la nuca e gli occhi al cielo azzurro.
La mente vaga come le nuvole spinte dalle gelide raffiche di vento e i ricordi affiorano come lame.
Nel frattempo nel corpo borbotta quel magma di rabbia maledetta, fatto covare per troppo tempo nel silenzio dei pensieri strazianti.
Questo cammino era stato intrapreso in una mattina qualunque, non curante della data segnata dal calendario, ma ci sono giorni che anche se hanno le stesse caratteristiche di altri, sul calendario del cuore sono scritti con l'inchiostro nero, nero come la pece, nero come l'oscurità.
Un calendario biologico che non dimentica gli anniversari.
È allora che il laccio del tuo cuore si fa sempre più stretto e gela il sangue nelle vene in sincro con il calo improvviso della temperatura esterna, come se anch'essa si stesse impegnando a ricordarti la bufera di neve che la tua anima sta attraversando.
Un forte dolore al petto, poi … lacrime a fiumi che bagnano l'erba già umida, la stessa sulla quale poggi la tua testa confusa, triste e impaurita.
Per l'occasione l'anima, il cuore e la mente pensano bene di dare una festa per celebrare la ricorrenza.
Una festa in stile “emo”, con colori scuri e cupi e la tristezza a far da padrona, ma il vero protagonista è il dolore, in tutto il suo splendore.
Ogni volta che attraversa il salone del ricevimento, il dolore danza maestoso e spavaldo e non ti resta che assistere al saggio, lasciandolo prendere il sopravvento.
Ogni passo, ogni movenza è un ricordo dei momenti tristi ma soprattutto di quelli felici e la loro vista fa tremare il pavimento, come un terremoto di massima intensità.
Sta calando la sera, lo spettacolo continua, ma dovresti affrettarti a riprendere il cammino per trovare un riparo per la notte, ma immobile decidi di rimanere a goderti lo spettacolo, doloroso ma carico di significato, anche a rischio di rimanere a dormire fuori, nonostante il freddo, sotto un manto di stelle.
Il balletto ti ha letteralmente drogata e nonostante il male procurato non puoi farne a meno.
Al momento le tue pile sono scariche e non hai voglia di cambiarle e riprendere il cammino.

Forse un giorno lo farai, per ripartire come prima, più di prima, ma quel giorno non è oggi.

giovedì 17 novembre 2016

Quel nemico del mio tempo

Il tempo. È il nemico giurato di tutti noi esseri umani. È nemico del ritardatario, di colui che deve concludere un contratto, dello studente in piena sessione d' esami, ma soprattutto è un nemico in amore.
Chiunque, me compresa, ha paura del tempo perché porta con se il cambiamento e non sempre questo è piacevole.
I ragazzi non vedono l'ora che passi questo benedetto tempo per scoprire tutto ciò che la vita ha in serbo per loro. Scoperte, vite da vivere, lacrime ma anche sorrisi; i vecchi invece lo temono perché più passano le ore più sentono alle loro spalle l'ombra della morte, l'unica che il tempo se lo porta via e lo seppellisce per sempre.
I giovani hanno minuti da perdere dietro stupide cose che a quell'età sembrano talmente di vitale importanza da tralasciare ciò che lo è nella realtà. Gli anziani invece non hanno un minuto da perdere e cercano di viversi al massimo quei 1440 minuti del giorno senza dormire, senza fermarsi un secondo perché per quello ci sarà un'eternità.
Alle volte fisso i miei nonni perché sul loro volto è impresso il trascorrere del tempo. Le rughe, le imperfezioni della pelle, le mani che tremano, la schiena curva per i troppi anni di lavoro.
E se da un lato rido, dall'altro avverto una fitta al cuore perché in loro non c'è alcun tempo.
È come quando leggi un libro che ti è piaciuto cosi tanto e ti ha fatto anche emozionare da non voler giungere alla fine, ma ad un tratto ti accorgi che ti rimangono solo pochi fogli prima della copertina finale.
Ma io non voglio giungere al termine e soprattutto non lo voglio con il rimpianto di non aver fatto abbastanza, di aver vissuto con l'angoscia nel cuore, ma soprattutto di non aver amato.
E mi domando come facciano gli uomini a rimanere inermi davanti al trascorrere del tempo. Dapprima decantano progetti di vita più o meno imminenti: lavoro, matrimonio, figli; tutto entro una scadenza precisa, come quella indicata sulle bottiglie del latte.
Poi ad un tratto si dimenticano di tutto questo e vivono così, allo sbaraglio, con l'orgoglio che gli impedisce di vivere i fatidici minuti della giornata.
Io ho paura del tempo e non me ne vergogno. Lo temo perché cambia e plasma. Lo temo perché può essere la nave della speranza, ma può anche essere il Titanic, e tutti conosciamo il suo destino.
Il tempo è amico e nemico e in pochi secondi ti ritrovi a cambiare i tuoi baci nei suoi confronti in cazzotti carichi di rabbia e dolore per l'averti portato via un caro, un familiare, il tuo amore!
E non puoi prendertela con nessuno perché il tempo è come un treno, viaggia dritto sui binari, seguendo il suo itinerario e devi essere tu bravo a salirvi su, aspettandolo puntuale alla tua fermata.


lunedì 14 novembre 2016

The big Kahuna

Goditi potere e bellezza della tua gioventù. Non ci pensare.
Il potere di bellezza e gioventù lo capirai solo una volta appassite.
Ma credimi tra vent'anni guarderai quelle tue vecchie foto.
E in un modo che non puoi immaginare adesso.
Quante possibilità avevi di fronte
e che aspetto magnifico avevi!
Non eri per niente grasso come ti sembrava.
Non preoccuparti del futuro.
Oppure preoccupati ma sapendo che questo ti aiuta quanto masticare un chewing-gum per risolvere un'equazione algebrica.
I veri problemi della vita saranno sicuramente cose che non ti erano mai passate per la mente, di quelle che ti pigliano di sorpresa alle quattro di un pigro martedì pomeriggio.
Fa' una cosa ogni giorno che sei spaventato: canta!
Non essere crudele col cuore degli altri.
Non tollerare la gente che è crudele col tuo.
Lavati i denti.
Non perdere tempo con l'invidia: a volte sei in testa, a volte resti indietro.
La corsa è lunga e, alla fine, è solo con te stesso.
Ricorda i complimenti che ricevi, scordati gli insulti.
Se ci riesci veramente, dimmi come si fa...
Conserva tutte le vecchie lettere d'amore,
butta i vecchi estratti-conto.
Rilassati!
Non sentirti in colpa se non sai cosa vuoi fare della tua vita.
Le persone più interessanti che conosco a ventidue anni non sapevano che fare della loro vita.
I quarantenni più interessanti che conosco ancora non lo sanno.
Prendi molto calcio.
Sii gentile con le tue ginocchia,
quando saranno partite ti mancheranno.
Forse ti sposerai o forse no.
Forse avrai figli o forse no.
Forse divorzierai a quarant'anni.
Forse ballerai al tuo settantacinquesimo anniversario di matrimonio.
Comunque vada, non congratularti troppo con te stesso,
ma non rimproverarti neanche: le tue scelte sono scommesse,
come quelle di chiunque altro.
Goditi il tuo corpo,
usalo in tutti i modi che puoi,
senza paura e senza temere quel che pensa la gente.
E' il più grande strumento che potrai mai avere.
Balla!
Anche se il solo posto che hai per farlo è il tuo soggiorno.
Leggi le istruzioni, anche se poi non le seguirai.
Non leggere le riviste di bellezza:
ti faranno solo sentire orrendo.
Cerca di conoscere i tuoi genitori,
non puoi sapere quando se ne andranno per sempre.
Tratta bene i tuoi fratelli,
sono il miglior legame con il passato
e quelli che più probabilmente avranno cura di te in futuro.

Renditi conto che gli amici vanno e vengono,
ma alcuni, i più preziosi, rimarranno.
Datti da fare per colmare le distanze geografiche e gli stili di vita,
perché più diventi vecchio, più hai bisogno delle persone che conoscevi da giovane.
Vivi a New York per un po', ma lasciala prima che ti indurisca.
Vivi anche in California per un po', ma lasciala prima che ti rammollisca.
Non fare pasticci con i capelli: se no, quando avrai quarant'anni, sembreranno di un ottantacinquenne.
Sii cauto nell'accettare consigli,
ma sii paziente con chi li dispensa.
I consigli sono una forma di nostalgia.
Dispensarli è un modo di ripescare il passato dal dimenticatoio,
ripulirlo, passare la vernice sulle parti più brutte
e riciclarlo per più di quel che valga.
Ma accetta il consiglio... per questa volta

sabato 12 novembre 2016

Ama e sarai vivo


L'amore è pura follia. Ad un tratto la mente non risponde ai comandi della ragione, ma solo ai sentimenti. È una macchina senza autista che viaggia su una strada scoscesa.
È un fiume in piena che travolge tutto ciò che incontra sul suo cammino.
È lava bollente che brucia tutto ciò che tocca.
L'amore porta con se tormento e delusione, amarezza e ...amarezza.
È in grado di farti toccare il cielo con un dito, per dirlo con una frase fatta, ma è anche in grado di seppellirti km sottoterra.
È esilarante pensare e vedere qualcuno innamorato perché osservi questa persona e vedi fino a che punto possa spingersi. Azioni apparentemente stupide e prive di senso ma che, se osservate con analiticità e con cuore puro, assumono una grande valenza per te e per chi ti sta intorno.
Tutto il mondo dovrebbe amare. Magari ci sarebbero più arrestati e più lavoro per le forze dell'ordine che dovrebbero domare una folla che, impazzita e in preda alla disperazione, compie atti che non rientrano nel codice penale.
O forse semplicemente tutti potremmo imparare dalla storia degli altri, dalle azioni che solo un uomo o una donna innamorati sono in grado di compiere e forse, sottolineo forse, si svilupperebbe un alto grado di comprensione, di fratellanza e di rispetto altrui.
Io non parlo dell'amore malato, quello che induce a sfregiare una donna in volto, quello che porta a diventare un incubo, quello che diventa una ossessione psichica o ancora di quell'amore che si soddisfa solo carnalmente. No, questo non è amore.
Io parlo dell'amore del cuore, quello che porta a gesti stupefacenti, ma legali.
Parlo dell'amore che ti fa sorridere e anche soffrire, soffrire tanto. Parlo dell'amore con la A maiuscola tra un uomo con la U maiuscola e una donna con la D maiuscola.
Parlo dunque di rispetto, di condivisione, di battiti del cuore che si intrecciano per dar vita ad un TIC TAC continuo e ripetuto, come in una melodia.
L'amore è il motore dell'essere umano perché amando puoi gioire, rilassarti dopo una giornata carica di impegni e di responsabilità, che ti permette di condividere anche quello schifo di giornata con la persona che è al tuo fianco per completarti.
L'amore è quindi quella metà della mela che non appena trova l'altra perfetta coincidente formano una cosa sola, un equilibrio perfetto in mondo barcollante.
Chi ha detto che per amore non si muore in realtà non ha mai realmente amato!
Non è facile amare ed è un po' come giocare al piccolo chimico, dosando i componenti con cura per non creare una esplosione. Ma l'innamorato non conosce la chimica e nemmeno i grammi necessari per una corretta reazione. Segue il cuore e quello ignora le regole e le misure.
E cosi in amore l' esplosione è inevitabile!
Ama e corri verso lui o lei, contro il tempo e ogni impedimento e sarai vivo.


sabato 5 novembre 2016

L'autunno del cuore

È sabato. Fuori piove a dirotto da questa mattina. Mi sono svegliata ed il cielo era già grigio e più passavano le ore più si scuriva fino a raggiungere un nero azzurrato che metteva quasi paura.
La pioggia scroscia forte contro la finestra; ad interrompere il suo concerto solo il tono lontano di un tuono secco e duro.
Il mio pensiero vola al paese, la dove ho lasciato la mia vita, i miei affetti e il mio cuore.
Non fa tanto freddo e non posso nemmeno rassicurarmi sotto un caldo plaid, ma la nostalgia di questo sabato la ricorderò per tutta la vita.
Mai come oggi la pioggia mi ha fatto cosi tanta paura, forse perché richiama in me sogni infranti e desideri nascosti, ricordi amari e una realtà dolorosa.
Dalla finestra guardo questo paesaggio tetro e con il naso creo un alone appannato sul quale, in altri tempi, avrei disegnato un cuore. Ma questo non è uno di quei momenti perché io non credo più di avere un cuore. Batte solamente per svolgere la sua funzione vitale, anzi ci sono dei giorni in cui batte cosi forte da farmi preoccupare e mi ricorda che quel cuore c'è e anche se non lo avverto più e mi sembra pietrificato batte ancora.
Non ho più l'impulso di disegnare quel cuore perché il mio è vuoto anche se ogni tic fa eco ad un nome ben preciso, un nome che io conosco bene, ma per affrontare il dolore e far coraggio a me stessa ti dico che quel tic io non lo sento.
Come si dice “Non c'è miglior sordo di chi non vuole sentire”.
E al ritmo cardiaco anche la mente ripete sempre la stessa litania.
Guardo dalla finestra e vedo tutta la vita che c'è, ma soprattutto quella che sta passando senza accorgermene.
Io non vivo le giornate, le attraverso! Mi alzo dal letto perché il sole sorge e vado a letto perché la luna ha preso il suo posto, ma in centro c'è il vuoto, un buco cosi nero da non permettere la visione nemmeno a pochi centimetri.
Ogni giorno fortunatamente passa con molta celerità e ogni sera ringrazio Dio per averlo fatto passare anche questa volta perché alle volte la mattina non so proprio da dove cominciare per affrontarlo.
Un giorno in meno o uno in più, dipende dai punti vista! Per me sono entrambi...
La giornata di oggi descrive esattamente la mia vita da un paio di mesi: guardo alla finestra in attesa di qualcosa. Io aspetto e l'attesa è snervante perché per quanta pazienza io possa avere insieme all'attesa cresce l'angoscia e questa mi spezza il fiato.
Come un albero d'autunno sto perdendo le mie foglie e ogni colore del paesaggio esprime la J di adesso: rosso come il sangue della mia lotta, verde come la speranza di vincere, giallo e marrone come l'autunno del mio cuore. E ancora, nero come la mia anima!
Passerà, come l'autunno e arriverà una nuova stagione, ancora più fredda e gelida, ancora più spenta e io alla finestra ancora attenderò!


giovedì 3 novembre 2016

Ore 12.30 in biblioteca

12.30 in Biblioteca. Un silenzio a dir poco assordante. Sento solamente pagine di libri e quaderni sfogliati, anche con grande foga perché si avvicina l'ora di pranzo e ciascuno di noi vuole terminare il capitolo o l'argomento prima di sedersi a tavola. 
Mi guardo intorno. Gente che digita velocemente sulla tastiera, gente che invece, da buona conservatrice come me, utilizza la vecchia e cara carta e penna.
Li guardo e mi guardo.
La ragazza di fronte a me, senza distogliere lo sguardo dal libro, poggia una mano sulla schiena del suo compagno, forse il fidanzato, e in un attimo mi si gela il sangue. 
Ah quanto vorrei che il mio fosse qui per toccarlo e baciarlo anche un' ultima volta, anche per un solo istante, ma da quella sera lui non c'è più.
Non ci saranno i suoi maglioncini scuri; lui adorava il blu, proprio come me.
Non ci saranno più i suoi baci, misti del sapore di sigarette e vino; baci che mi lasciavano l'alone violaceo del vino rosso, corposo, caldo e passionale proprio come lui.
Non ci sarà più quel ragazzo meraviglioso che mi ritrovavo a fissare ore e ore, mentre lui distrattamente chiacchierava con amici e sorrideva. Si, mi manca anche il suo sorriso e non posso fare altro che rivederlo nelle sue foto e nel ricordo che lui ha lasciato nel mio cuore.
Forse mi penserà o forse, come dicono alcuni, lui c'è sempre e mi protegge ancora.
Lui vive ancora in me o forse sono io quella che è morta la sua stessa sera.
Sento l'amore in questo gesto banale della mano sulla schiena, sento l' affetto di questi due ragazzi e forse riesco anche a captare i pensieri di lei. 
E' inquieta e, sebbene non stacchi lo sguardo dal libro, si percepisce che non è concentrata, o meglio non lo è su quell'argomento. Magari pensa alla notte appena trascorsa con lui o magari è solamente il desiderio di lui a confonderla, ma soprattutto a distrarla.
Mi distraggo ancora, anch'io. C'è chi entra e chi esce e inevitabilmente non posso fare a meno di notare la personalità di ciascuno dei passanti: c'è il "fighetto" in camicia e maglioncino, tracolla rigorosamente a spalla, che gioca ad essere un avvocato di fama, pronto a destreggiarsi tra le toghe dei colleghi, il martelletto del giudice e la falsità da portare avanti in tribunale, come nella realtà; poi c'è il ragazzo in tuta che "tira avanti tanto per campare" perchè sa che senza la laurea non potrà nemmeno svolgere il ruolo di netturbino. 
Ed io? a quale ruolo sto giocando? Forse lo so, o forse ancora no. Ho una mente economica e un cuore molto confuso.
Il mio sguardo si ferma ruotando a 180°. Da quando è entrata non faccio altro che fissarla e su di essa mi sono sbizzarrita con una serie di ipotesi investigative da poter dar vita ad una puntata dello storico Maresciallo Rocca! 
Una signora robusta, di età avanzata. L'aspetto decisamente trascurato, per non parlare dell'abbigliamento... Ecco, chiudete gli occhi e provate ad immaginare la signora dei piccioni in "Mamma ho perso l'aereo".Provate ad immaginare il suo aspetto esteriore e tralasciate per un momento quello fisico. Benissimo, l'avete inquadrata!
Seduta in uno dei banchi della biblioteca, da circa un' ora è impegnata in monologhi con se stessa, bisbigliati per non dar fastidio agli altri. L'unica parola che riesco a percepire leggendo il labiale è "Non è possibile"
Cosa vorrà mai significare? Scattano una serie di domande e riflessioni. 
Mi piace fantasticare su di lei e sul suo passato. Mi piace pensarla come una grande donna di cultura negli anni precedenti, professoressa magari di qualche prestigioso istituto superiore. 
Mi piace immaginarla come una nostalgica del suo amato lavoro, svolto con dedizione,  che torna in luoghi come la biblioteca per respirare e ricordare i momenti in cui la vita le sorrideva.
Sembra che stia aspettando qualcuno, forse un bimbo lasciato a scuola tanto tempo fa e sembra anche parecchio annoiata. Cerca qualcosa nelle sue due borse, una da passeggio, l'altra tipicamente una sacca per i libri. E' come se cercasse un diversivo per colmare il vuoto dell'attesa. 
Ha preso uno smalto rosso e all'impatto percepisco la sua vanità, ma non lo passa sulle unghie: lo versa su un fazzoletto, come a voler ricreare una macchia di sangue da un naso emorragico. Avvicina il fazzoletto e ne sospira l'acido odore.
Ho paura, non per la sua presenza. Ho paura per ciò a cui penso guardandola. Ho paura perchè giungo alla conclusione che la cultura è un'arma a doppio taglio: ti lusinga, ti soddisfa, ti sazia da quella fame di conoscenza che durante gli anni a volte ti tormenta, ma ti distrugge perchè ad un tratto il tuo cervello chiederà PACE!

Biblioteca svuotata... vado anch'io!

mercoledì 2 novembre 2016

Se tornerà la normalità

Pensare al natale adesso significa segnare la propria condanna a morte.
Significa chiudersi in una tristezza eterna dalla quale non si può venire fuori tanto facilmente.
Nonostante ciò J non faceva altro che pensare a quello.
Lo scorso anno contava i giorni per tornare a casa dai suoi cari, dalla sua famiglia, ma soprattutto dal suo uomo e anche se c'erano delle giornate in cui la paura di ritornare al punto di partenza la immobilizzava J aveva una adrenalina in corpo e una luce negli occhi che nessuno avrebbe mai potuto spegnere.
Quest'anno i suoi occhi invece sono tunnel bui e tetri, come un atrio della caverna di un orco.
Sono spenti perché in J non splende alcuna luce di gioia.
Sul suo volto sono chiari i segni del dolore, della sofferenza. Pallida, occhi carichi di lacrime, occhiaie dal colore violaceo, due guance sulle quali sono scorsi fiumi e fiumi di lacrime il cui impeto dell'acqua è stato cosi forte da solcarle ormai le gote.
In queste condizioni si aggira nei meandri della vita e insieme agli scheletri appesi alle pareti cammina, non impaurita, ma con una tale indifferenza e apatia da farle sembrare il tutto naturale.
Nessuno la spaventa, forse perché anche quelle figure la considerano di famiglia, una di loro. Lei continua imperterrita ad affrontare il tunnel, trascinata da un alito di un qualcosa che nemmeno lei riconosce.
Per J la vita è quella. Non più un sorriso, non un sorriso di felicità che prenda la spinta dal suo cuore.
Per J c'è solo un corridoio di specchi in cui specchiarsi e di quadri che le ricordano chi era e come era fino a qualche tempo prima.
Lei ogni tanto si sofferma ad osservarli, sorride amaramente perché è cosciente del fatto che ormai è stato e mai più sarà. Scruta ogni quadro nei minimi dettagli e come un critico artistico ne apprezza la bellezza, ma ne contesta diverse sbavature.
Quei quadri le ricordano cosa aveva e cosa ha perduto e ad ogni sguardo le sue dita chiedono pietà perché strappa le sue unghie con foga, fino a procurarsi delle ferite che sanguinano e bruciano a contatto con la saliva.
Ma quei dipinti rappresentano tutto per lei, la sua vita, la sua storia, il suo essere. La rappresentano sempre e comunque e perciò, con gli occhi persi tra i ricordi, la sua mente inizia un lavoro di introspezione e va giù pesante con i commenti negativi.
Quale migliore critico se non se stessi?
Come durante una seduta dal terapeuta J bacchetta la sua anima, la sua essenza, il suo essere cosi spigoloso, antipatico, cosi meschino. Volano parole pesanti nella sua mente e i rimproveri feriscono come le lame taglienti di un fachiro.
Ad un tratto il suo paziente inizia a piangere e dai lamenti sembra di essere all'inferno dantesco. 
J allora si scioglie e silenziosamente gli si siede di fianco intonando insieme un coro di lacrime.
Si perché J in fondo è una gran sensibile e cerca di essere dura con se stessa solo per auto-comprendere gli errori che la vita, il destino o semplicemente il suo carattere le hanno fatto commettere.
Ad un tratto del corridoio J si specchia perché incappa in quelle superfici riflettenti. 
Si vede malandata, spettinata, in pigiama e molto mal nutrita.
Non è la J di sempre a cui piace andare in giro tutta ben curata, truccata e alla moda. 
Adesso anche una tuta è un abbigliamento top da indossare e le scarpe da ginnastica sono diventate le sue preferite.
Ma quello specchio la mette di fronte alla realtà, una realtà che non le piace affatto perché J dal profondo sente ancora quella spinta del rossetto rosso, dei tacchi e della gonna, ma il male di vivere soffoca questo desiderio e lo lascia dormire in un angolo, per riprenderlo solamente quando tutto sarà tornato alla normalità, se tornerà alla normalità!


mercoledì 26 ottobre 2016

Tutto coagula

Nella vita si può cadere, si possono avere piccoli incidenti, ma l'importante è riprendersi e fare in modo che quell'incidente non accada più.
Sapevo che andando forte con la moto sarei potuta cadere, ma l'incoscienza mi faceva dire “non è possibile capiti proprio a me” e mi rincuoravo perchè non era mai successo nulla...o forse meglio dire non ancora!
Mi sono ritrovata in ospedale con fratture e punti di sutura in tutto il corpo, per non contare quelli che sono stati dati alla mia anima e al mio cuore. 
Queste sono state le cicatrice più difficili da sanare e ancora oggi sanguinano. I punti sono stati attaccati male e le ferite sanguinano ancora e purtroppo so che è soltanto colpa mia.
Una parte di me è morta in quell'incidente e il peso della morte echeggia tutti i giorni. 
La coscienza è sporca e porto su di me un macigno che mi curva la schiena, un macigno cosi pesante da farmi spuntare la gobba!
È morta la parte migliore di me, quella parte che tirava il carretto della mia vita. 
È morto il rapporto con mia mamma e alla morte si sa, non c'è soluzione. 
Quella salma è chiusa nel feretro, al cimitero e anche se vado a trovarla tutti i santi giorni, non mi sento meglio, anzi sento costantemente il ripudio, il respingermi.
Abbasso gli occhi e non posso che tornare a casa per farla vivere in pace lontana da me.
Ci sono giorni invece in cui mi intestardisco e rimango li ad osservare quel rapporto, dall'interno e dall'esterno. Analizzo le diverse sfaccettature e i diversi caratteri e mi domando come mamma e figlia facciano a tenersi cosi lontane.
Guardo indietro e non vado per niente fiera del passato. Se solo potessi tornare indietro, adesso guarderei ancora la gente negli occhi e non starei qui a piangermi addosso per gli errori commessi.
Tutto coagula e tutto si aggiusta. Ci vuole solo tempo.





venerdì 21 ottobre 2016

Una Milano di sole

UNA MILANO DI SOLE

Non immaginavo che Milano fosse cosi... stupenda!
Da sempre l'ho sentita dipinta di grigio, anzi con una scala di grigi che non le rende giustizia. Nebbia, pioggia e stivali: questo il mio immaginario.
Forse realmente fortunata ho beccato una giornata di sole, caldo e rassicurante.
Venerdi pomeriggio e stranamente non ho lezione. Con la voglia e la malinconia della mia terra esco a fare una passeggiata in centro. Mi soffermo davanti alle vetrine e vedo un abito lungo di seta, rosso, perfetto per la festa in villa organizzata dall'Università. Già mi immagino con quell'abito, il sandalo gioiello, orecchini pendenti argento swarovsky e capelli rigorosamente acconciati, con qualche ondulo che scappa dal raccolto, in modo da far sembrare il tutto meno sobrio.
O mamma...la mia borsa non credo stia bene con quelle scarpe... no problem, c'è Carlotta; lei sicuramente ne avrà una che fa al caso mio.
Un raggio di sole mi accarezza il volto. È caldo e mi infonde serenità e anche felicità. Subito il pensiero va ai miei genitori lasciati giù in Sicilia. Ho voglia di sentire mia mamma per l'ennesima volta della giornata. “Tim segreteria telefonica”... al solito è al telefono con mia nonna o con mia zia Stefania. Sorrido, stacco il telefono e continuo il mio giretto.
Camminando arrivo sotto i portici della Galleria e i tavolinetti sono già pronti per il maxi aperitivo milanese che i lavorati si concedono prima di tornare a casa dalle mogli, dai figli, dalle mamme...
uomini in giacca e cravatta seduti al tavolo insieme ad una bella donna, alta bionda, occhiali da femme fatale, e il dubbio nasce spontaneo: sarà la moglie o l'amante?
La mia non è una mentalità paesana, ma una donna, o chiunque d'altra parte, si accorgerebbe degli sguardi tra quei due. Non è una semplice collega o cugina...deve per forza essere l'amante! 
Si guardano come a dire tra pochi istanti saremo senza vestiti e il profumo dei nostri corpi, della nostra pelle, si fonderà insieme fino a dar vita ad una sola essenza, quella del nostro amore segreto e adultero, ma così eccitante da togliere il fiato.
Decido anch'io di sedere in uno di quei tavoli per fare l'aperitivo.
Le prime volte non mi sono mai seduta a bere qualcosa perchè la maggior parte delle volte, se non con mia sorella o qualche collega, andavo in giro da sola, per schiarirmi le idee, per svagarmi e non pensare alla nostalgia di casa.
Mi sembrava una cosa stupida sedermi e ordinare qualcosa da sola. Era come se il cameriere mi guardasse per dire "Ma questa è pazza!".
Cosi passavo al supermercato, compravo una bottiglia di vino bianco e qualche pacco di patatine e da sola, a casa facevo l'aperitivo davanti alla tv o con la radio ad un volume eccessivamente elevato.
A Chiaramonte l'aperitivo era una moda soprattutto tra il venerdì e la domenica.
Era una gara tra le ragazze a chi indossasse l'abito migliore, a chi tenesse il bicchiere con più disinvoltura, a chi riuscisse a farsi notare maggiormente. Invece per i ragazzi era una gara a chi riuscisse a sopportare, alcolicamente parlando, più Spritz. 
“Io ne ho bevuti due...io cinque e già posso andare a casa!”
Ci si divertiva perchè ogni parola era motivo di un sorriso e se eri riuscita ad andare a casa puntata da qualche bel ragazzo, bhè allora andavi a letto con una sensazione di leggerezza e felicità nello stomaco, e dormivi serenamente, come dorme un neonato al quale è stato fatto il bagnetto la sera.
Non so come e non so dove ma trovai il coraggio, un giorno, di sedermi ad uno di quei tavoli, SOLA!
Stupita di me stessa aveva preparato un piano difensivo in caso di sguardi discriminatori o di qualche frase al posto sbagliato. E invece no: a Milano ognuno si fa i cazzi propri. A nessuno interessa con chi sei, come sei vestita, truccata o acconciata. L'aperitivo è un passaggio, un mezzo, non un fine; è l'attimo prima di tornare a casa, prima di dire questa giornata è finita!
È un attimo per sancire accordi stipulati durante il pomeriggio, sono ore dedicate alla cura della propria mente, un momento per stare seduti, non nei propri uffici, ma per fare qualcosa per noi stessi.
Quel pomeriggio tutti i tavolinetti del porticato erano occupati: sarà per le giornate appena diventate calde, per quel sole che illuminava fino a tardi la strada, sarà perchè era venerdì e si sa, il venerdì siamo tutti contenti, più del sabato.
Scelgo un tavolo vicino al chioschetto in cui era seduta una carinissima coppia di mezza età. Lei capello cortissimo, quasi rasato, biondo ossigeno, lui gilè da pescatore grigio chiaro e l'aspetto da orso dal cuore tenero, come mio papà.
Avevano finito e prima ancora che il tavolo fosse sparecchiato io ero già seduta.
Non so come sia successo, ma in un attimo mi ritrovai a contendermi il tavolo con due ragazze, più piccole di me e soprattutto più presuntuose, e con un ragazzo moro a cui a primo impatto non diedi tanta importanza.
Seduti accanto, lui alla mia sinistra, iniziammo a fare conversazione, isolando le altre due gallinelle fino al punto che decisero di cambiare tavolo.
Mi sorrise e furono minuti di estasi. Era alto e magro, moro, occhi castani, capelli media lunghezza, castani e spettinati. Un maglione marroncino, con la zip centrale aperta a causa del caldo.
Il suo sorriso era abbagliante e rapiva ogni mia parola e pensiero ed era troppo grazioso e tenero perchè gli si aggrinziva la fronte diventando un piccolo scoiattolo tenero.
Si creò subito un feeling particolare. Si chiamava Fulvio ed era proprio uguale a Luca Argentero.
Parlammo del più e del meno fino a quando le luci dei lampioni si accesero per strada. Era tardi, dovevo tornare a casa. Mia sorella Marta avrebbe fatto la notte in ospedale e come di consueto avrei voluto almeno cenare con lei.
Prima di salutarlo cercai qualcosa nella grande borsa MK e mi alzai. Avevo letto nel suo sguardo l'attesa di qualcosa, forse del mio numero e ad alta voce mi giustificai spiegando che cercavo i soldi per le mie Malboro Gold Touch.
Non avrei mai pensato che Fulvio si sarebbe potuto interessare a me. Sono la classica ragazza mediterranea: occhi scuri, capelli scuri, con delle curve che non misurano per niente 90-60-90 ma sono queste elevate al cubo.
Certo è che la gatta morta la sapevo proprio fare! Gli sguardi ammiccanti sono innati e la parlantina di certo non mi manca; avevo persino dato a quella conversazione un taglio provocatorio, inconsapevolmente.
Mi ero innamorata...si perchè io mi innamoro di un niente...già dall'aspetto fisico. Non ho un prototipo di ragazzo ideale ma di certo escludo biondi con occhi chiari. E Fulvio era proprio il ragazzo che non avrei mai escluso.
Non sapevo nulla di lui ma per tutta la serata non ho fatto altro che pensare a quell'aperitivo che aveva superato qualsiasi aperitivo “in” a Chiaramonte.
Lo raccontai a Marta non appena arrivata a casa e lei come al solito mi disse: “Sei sempre la solita regista: hai già fatto un film! Ma se nemmeno lo conosci...non hai nemmeno il suo numero. Non lo rivedrai mai più!”

Ma la mia euforia era cosi cavalcante che le sue parole non mi sfiorarono minimamente e continuai a preparare la cena cantando e fischiettando, con il sorriso sulle labbra.